Dall’analisi delle stime per l’anno 2015, si rilevano i primi segnali di una ripresa, seppur lieve, dell’attività economica nel Mezzogiorno, con un Pil che crescein termini reali dello 0,2% (+0,8% in Italia), processo di crescita che dovrebbe perdurare nel 2016. In questo scenario un ruolo rilevante è stato svolto dalle imprese.Sono,infatti, presentisul territorio molte realtàche riescono ad operare con successo riducendo al minimo le differenze territoriali con il resto dell’Italia.
Dall’ultimo Rapporto PMI Mezzogiorno 2016 curato da Confindustria e Cerved e realizzato in collaborazione con SRM, si rilevano 680 PMI meridionali di capitali che nel 2014 hanno almeno raddoppiato il proprio fatturato, pari al 2,4% di quelle attive nel 2007 (in Italia 2,6%). Tra i principali settori di appartenenza oltre a quello delle Utility si evidenzia una presenzasignificativa nell’industria (3,2%),dato quest’ultimo superiore anche alla media nazionale (3,1%).
Esiste, quindi, una realtà industriale vincente che contraddistingue il Mezzogiorno attribuendogli un riconoscimento internazionale. Si tratta, ad esempio, delle filiere produttive legate alle cosiddette «4 A» -Automotive, Aerospazio, Agroalimentare, Abbigliamento moda- ed al Bio-farmaceutico. Il peso dell’export del Mezzogiorno di queste filiere sull’Italia è del 13%, valore ben superiore al relativo peso dell’intero manifatturiero no-oil (che si attesta intorno all’8%).
Rilevante è anche la significatività di tali aree produttiveall’interno stesso dell’economia manifatturiera meridionaleevidenziando al riguardo una più elevata specializzazione:le filiere summenzionate rappresentano, infatti, quasi il 60% dell’export meridionale contro il 36% del corrispondente dato nazionale ed il 42,1% del valore aggiunto (è il 31,5% in ambito nazionale).
Queste eccellenze produttive ed imprenditoriali che sono ben presenti, che «innovano e producono» e che vanno oltre le medie, sono influenzate positivamente dal ruolo dei distretti e delle filiere.
Si può verificare infatti che la forza distrettuale consente di sviluppare una maggiore capacità di esportare rispetto alle aree non distrettuali (38,4% delle imprese contro 29,4%), di effettuare più investimenti diretti esteri (33% ogni 100 imprese contro 26%), di registrare brevetti e marchi, oltreché di accedere a migliori professionalità sia in termini di formazione che di promozione internazionale.
Nel Mezzogiorno sono presenti 27 distretti che nel 2015 hanno generato 7,1 miliardi di euro di export, pari al 7,5% dell’export distrettuale nazionale.La crescita dell’export dei distretti meridionali è quasi doppia rispetto all’Italia: +8,3% contro +4,2%.Il contributo più importante alla performance del Mezzogiorno è stato offerto dalle imprese distrettuali attive in Puglia, che hanno registrato nell’ultimo anno una crescita del 10,5%, raggiungendo un valore di 1,2 miliardi di euro. Positivo l’export anche nelle altre regioni.
L’importanza dei distretti e delle aree produttive meridionali si rafforza se prendiamo in considerazione il ruolo che essi hanno all’interno delle filiere lunghe, attraverso le quali si creano forti interdipendenze tra le diverse aree del Paese. Sia il Centro-Nord sia il Mezzogiorno sono infatti largamente dipendenti – in termini di scambi di beni e servizi – l’uno dall’altro per soddisfare le proprie esigenze produttive:su 100 euro di investimenti effettuati nel Mezzogiorno, si verifica un “effetto dispersione” a beneficio del Centro Nord pari a 31,5 euro mentre l’effetto spillover (cioè l’effetto di generazione di domanda all’esterno del proprio territorio) del Centro Nord è di 5,3 euro.Considerando il solo settore manifatturiero del Mezzogiorno, la presenza di una forte integrazione di filiera a livello nazionale ed internazionale, genera un maggior effetto spillover: su 100€ di investimento effettuati nel Mezzogiorno si attiva domanda all’esterno (Centro Nord ed Estero) per 58 euro, mentre la domanda endogena attivata è di circa 42€.
Inoltre l’effetto spillover si differenzia oltre che per tipologia di filiera anche per il contenuto innovativo degli investimenti: se i 100 euro investiti nell’area fossero destinati ai processi innovativi, la ricchezza trattenuta dalla regione crescerebbe da 42€ a 50,6€ . La capacità endogena di ricchezza migliorerebbe -nel medio termine- per effetto del rafforzamento competitivo del territorio.
Ecco quindi che investire in innovazione oltre ai vantaggi ben noti di miglioramento della produttività dei fattori favorisce un più veloce rafforzamento del tessuto produttivo endogeno.
In conclusione, è possibile quindi evidenziare, ed il Rapporto PMI Mezzogiorno lo dimostra chiaramente, che esiste un SUD che può ripartire ma che al contempo risulta necessario accelerarne la velocità di tale ripartenza.
Occorre in primo luogo riscoprire la centralità dell’industria manifatturiera e delle proprie vocazioni territoriali e puntare sul rafforzamento della struttura dimensionale, sui processi innovativi esull’export come fattore di rilancio.Va posta inoltre una sempre maggiore attenzione e vanno implementate reali politiche attive ai processi di formazione manageriale e professionale delle risorse umane, per costruire gli skill gestionali e operativi necessari alle nuove esigenze di competitività internazionale. È necessario, infine, definire strategie produttive, organizzative e di governance utili a rafforzare il rapporto tra le piccole e medie imprese sul territorio, abbandonare le logiche divisive e pensare all’interdipendenzadei processi produttivi in un Paese che è più unito di quanto sembri.