In Italia ormai da diversi anni il settore dei servizi, nel suo complesso, è in forte ed evidente crescita. Lo testimoniano i dati forniti dall’Autorità sui contratti pubblici, ora Anac, che registrano un valore doppio degli appalti pubblici di servizi rispetto alle opere; lo conferma il grande sviluppo di settori come il Facility management dei patrimoni immobiliari che conta 135 miliardi di fatturato potenziale stimato e oltre 2,5 milioni di lavoratori impiegati; lo attesta la crescente industrializzazione di tutti i servizi ambientali e di gestione e recupero dei rifiuti, nonché la progressiva apertura alla concorrenza di quelli che erano i grandi monopoli pubblici nazionali nei servizi di interesse generale.
In termini più generali, sottolineo che la quota di valore aggiunto nel settore dei servizi “vendibili” (cioè esclusa la Pubblica amministrazione), che nel 1970 era pari al 37,1%, nel 2014 è salita al 53,3%; parimenti, nello stesso periodo di tempo, la quota di occupati a tempo pieno negli stessi servizi è cresciuta dal 24,5% al 42,3%.
Negli ultimi anni di crisi economica (2008-2014) nell’industria si sono persi più di un milione di posti di lavoro, mentre nei servizi il dato sull’occupazione ha fatto registrare un significativo incremento (+100.000).
Crescono le dimensioni di mercato, crescono le aziende, cresce la percezione dell’importanza economica, industriale ed occupazionale dei servizi; le più recenti analisi del Centro Studi di Confindustria attestano l’importanza di un legame stringente tra attività manifatturiera e servizi, anche sotto il profilo della localizzazione, e come i servizi operino in maniera integrata, e non subalterna, rispetto alla stessa produzione industriale.
Contro l’equazione “appalti = corruzione”, che negli ultimi mesi sembra essersi radicata nei mezzi di informazione e nell’opinione pubblica, è oggi necessaria per gli appalti di servizi una normativa di riferimento chiara e certa, che eviti i diffusi fenomeni di illegalità.
Sotto questo profilo, la preannunciata riforma del Codice dei contratti pubblici sembra andare nella direzione giusta, soprattutto se sarà adeguatamente semplificato e reso flessibile l’attuale quadro normativo.
Va decisamente qualificato il livello di attenzione per il settore dei servizi (in considerazione delle peculiarità che lo distinguono dal manifatturiero come dall’edilizia), attraverso la creazione di un tavolo permanente di confronto istituzionale che sappia affrontare le sfide, le criticità e le ampie possibilità di crescita del settore. Su questo punto, abbiamo ricevuto un importante e positivo riscontro da parte del Ministero dello Sviluppo economico e contiamo di raggiungere primi risultati concreti entro l’autunno.
Un vice ministro con delega specifica al vasto mondo dei servizi rappresenterebbe il naturale compimento di quella nuova cultura politica verso il mercato e l’economia che questo governo ha dimostrato di avere, oltre ad essere una prova di coraggiosa testimonianza verso un comparto economico nel quale è racchiuso un elevato “contenuto di futuro” del nostro paese.
Più in generale, occorre considerare i servizi non come un costo da tagliare, ma come un fattore produttivo in grado di generare efficienza e qualità per cittadini e Pubblica amministrazione, se supportato da un adeguato quadro normativo di sostegno che valorizzi le capacità imprenditoriali in un ambiente concorrenziale sano e regolato che contribuisca a rendere più efficiente e moderna la spesa pubblica.
E, in questo contesto, vanno certamente portati a termine i processi di razionalizzazione della spesa pubblica, che non passano solo attraverso lo sviluppo delle Centrali di acquisto, e più in generale di una adeguata qualificazione di tutte le Stazioni appaltanti, ma anche attraverso adeguati processi di semplificazione delle procedure che garantiscono certezza del diritto. Diverse le sfide da affrontare per raggiungere questi ambiziosi obiettivi.
La prima e più importante è il contrasto del massimo ribasso (in favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa) che troppo spesso costituisce un finto risparmio per la Pubblica amministrazione e nasconde invece lievitazione dei costi, pratiche scorrette di subappalto, diffusione di lavoro nero, quando non fenomeni di corruzione, come le vicende di cronaca degli ultimi mesi stanno ampiamente testimoniando. Dopo decenni in cui i servizi sono stati relegati ad un ruolo subalterno rispetto al manifatturiero, qualcosa si sta finalmente muovendo in questa direzione anche sul fronte normativo. Nel testo del nuovo Codice degli appalti, che scaturirà dal disegno di legge delega per il recepimento delle Direttive europee sugli appalti pubblici e concessioni, registriamo una nuova, importante attenzione al tema degli appalti pubblici di servizi. Accanto ad un rafforzamento degli strumenti di controllo, si prevede il tendenziale superamento del massimo ribasso, l’individuazione di strumenti di qualificazione delle Stazioni appaltanti e delle imprese, l’attenzione alle specifiche peculiarità dei servizi, con particolare riguardo a quelli labour intensive.
Non si può non accogliere positivamente anche le previsioni che intendono limitare il ricorso indiscriminato agli affidamenti diretti tra enti pubblici in una logica di salvaguardia della concorrenza e, quindi, dell’efficienza della spesa pubblica. Confidiamo che questo sia il primo passo per riprendere i processi di liberalizzazione dei servizi pubblici o di interesse pubblico, contrastando l’eccessiva “invadenza” delle aziende promosse e partecipate dalle amministrazioni che operano in condizioni di monopolio in attività che potrebbero essere affidate alla concorrenza del mercato, favorendo così lo sviluppo di imprese competitive anche a livello internazionale e, soprattutto, portando significativi risparmi alla finanza pubblica insieme ad altrettanto evidenti miglioramenti della qualità dei servizi erogati.