La strategia InnovArea si basa sul concetto di Impresa Significante: “Un’impresa insignificante crea poco valore per i clienti e la società appropriandosene della parte rilevante perché il problema è dividerlo. Un’impresa significante crea molto valore per i clienti e la società distribuendone una parte rilevante perché la soluzione è moltiplicarlo”. Uno dei valori alla base dell’intera strategia è quello della centralità della persona.
Cosa ha a che fare la centralità della persona con le Imprese Significanti e con la strategia Innovarea?
Per attuare questa strategia abbiamo bisogno di pensare l’agente economico in modo più “ricco” rispetto a quanto ci propone il mainstream. Dobbiamo cioè pensarlo come persona, metterlo al centro della scena dell’agire avendone a cuore la “fioritura” e valorizzandone la caratteristica di relazionalità. Contrariamente a quanto vuole farci credere la cultura contemporanea, l’individuo – e con esso anche e soprattutto l’agente economico – non è una monade, un nucleo duro e invariabile, in grado di esistere indipendentemente dalle sue relazioni storiche, affettive, istituzionali. Individualità non vuol dire separatezza o autosufficienza. L’Io è, piuttosto, la polarità, per quanto irriducibile, di una rete di relazioni. Solo così si può concepire il rapporto tra l’Io e il suo contesto: come una dualità dinamica tra sé e altro, tra parte e tutto, tra interno ed esterno; sempre aperta ma non per questo indeterminata. Non si tratta di una questione morale: non si tratta di “dover essere” aperti all’altro/Altro. È che lo siamo costitutivamente. Al punto che il nostro Io, la nostra autonomia, la nostra autorealizzazione acquistano senso solo all’interno di tale relazionalità.
Sul piano filosofico la cosa ha certamente senso. Lo mantiene anche su quello economico-manageriale?
Si, perché solo ragionando in questo modo possiamo identificare due tra i tratti costitutivi del concetto di persona che sono fondamentali nel contesto della strategia Innovarea e più in generale per il discorso economico: quello di “fioritura umana” (ne parlava già il filosofo Aristotele) e quello di “relazionalità”.
Fioritura umana?
La persona può “fiorire” soltanto se è libera e la libertà ha tre dimensioni costitutive: l’autonomia, l’immunità, la capacitazione. L’autonomia dice della libertà di scelta: non si è liberi se non si è posti nella condizione di scegliere. L’immunità dice, invece, dell’assenza di coercizione da parte di un qualche agente esterno (“libertà da”). La capacitazione (letteralmente: capacità di azione), infine, dice della capacità di scelta, di conseguire cioè gli obiettivi, almeno in parte o in qualche misura, che il soggetto si pone. Se da una parte il pensiero liberal-liberista tende a privilegiare autonomia ed immunità a scapito della capacitazione e, dall’altra parte, quello stato-centrico considera invece prioritarie immunità e capacitazione e tende a sacrificare l’autonomia, in vista di una autentica fioritura umana, la sfida da raccogliere è quella di far stare insieme tutte e tre le dimensioni della libertà. Ed è questa la ragione per la quale il paradigma del bene comune basato sulla centralità della persona umana appare come una prospettiva quanto meno interessante da esplorare anche per il discorso economico.
Veniamo all’altro aspetto, quello della relazionalità.
Comunemente si tende a pensare il mercato come un “gioco a somma zero”, uno scambio dove la torta è data e la contrattazione assegna le varie fette ai partecipanti al gioco. Era, questa, un’idea mercantilista, in base alla quale si pensava che il commercio – quello internazionale in particolare – arricchisse una parte (quella che importava oro o argento) e impoverisse l’altra parte (quella che nello scambio perdeva oro o argento). Questo errore impedisce ai non esperti di teoria economica di accettare l’idea secondo la quale, quando il mercato esiste e funziona propriamente, tutti i soggetti coinvolti nello scambio possono migliorare la loro posizione iniziale. Anche se non tutti allo stesso modo perché ci possono essere asimmetrie.
Quindi?
Dobbiamo invece e piuttosto sforzarci di guardare al mercato come un grande spazio nel quale cogliere opportunità di scambio per un beneficio comune. Se concepiamo così il mercato, diventa più semplice capire il nesso tra l’interesse individuale e il bene comune poiché l’intenzione di chi agisce è in questo caso orientata al vantaggio anche delle persone coinvolte con lui nell’interazione di mercato. Studiosi e colleghi come Zamagni e Bruni evidenziano che si crea così una connessione diretta – assente nella teoria della “mano invisibile” di Smith – tra le intenzioni degli agenti e gli effetti dell’azione stessa. Amicizia, relazionalità, reciprocità, addirittura fraternità in vista del mutuo vantaggio, del bene comune: sono davvero forme alte – ed efficaci in riferimento all’agire economico – di relazionalità. Impossibili da ospitare nel mercato se non considerando l’agente economico “persona”. È a questo punto importante considerare la questione dei beni. E proprio alla luce della caratteristica della relazionalità che è costitutiva della persona.
Ossia?
Il pensiero economico mainstream ci insegna che i beni possono essere privati o pubblici. Se sono privati (pensiamo ad un gelato appena acquistato) sono rivali ed escludibili. Avendone titolo posso cioè escludere gli altri dalla loro fruizione (il gelato l’ho acquistato io ed è mio in via esclusiva) e mentre ne fruisco nessun altro può fare la stessa cosa (o lo mangio io o qualcun altro. Insieme nello stesso momento non è possibile). Se un bene è pubblico (la luce del sole, per esempio) è non escludibile (non si può impedire a nessuno di fruirne) e non rivale (della luce del sole si può godere insieme simultaneamente). Più usufruisco di beni di questo tipo, meno ne traggo utilità (arrivato al terzo gelato di fila non ne posso più. E al sole, dopo un po’, anziché abbronzarmi mi scotto).
Il pensiero economico mainstream si ferma qui. È davvero tutto? Alcuni studiosi hanno dimostrato che affianco, esistono anche i “beni relazionali”, come l’amicizia, la fiducia o il clima positivo che si crea durante un incontro tra amici. Oltre a non essere escludibili (tra i partecipanti alla relazione) sono addirittura “antirivali”: non solo se ne può godere simultaneamente, ma se non lo si fa non si producono proprio (per esempio: se non incontro una persona l’amicizia non nasce. Con una precisazione: l’incontro è la “funzione di produzione”, l’amicizia è invece il “bene relazionale”). Sono purtroppo anche beni molto fragili. Perché possano essere prodotti dobbiamo andare incontro agli altri superando la paura di esserne rifiutati o feriti.
Al contrario dei primi, l’utilità che si trae da questi beni cresce sempre di più al crescere del loro utilizzo.
Perché i beni relazionali sono importanti?
Perché studi molto accurati dimostrano che sono fortemente collegati alla felicità delle persone. Più ce ne sono meglio si vive. Ed esigono partecipazione, solidarietà e reciprocità tra gli attori coinvolti nella loro produzione. Esigono cioè “relazionalità” che, come abbiamo visto, è caratteristica costitutiva della persona ma non dell’individuo.
Da Smith in poi il pensiero economico mainstream stabilisce che sono i comportamenti individuali ed egoistici, non quelli basati sulla reciprocità e sulla capacità relazionale della persona, che devono caratterizzare le azioni economiche dato che proprio dall’egoismo individuale ognuno trarrà il massimo benessere. Il risultato di questo modo di pensare i fatti della vita economica è oggi sotto gli occhi di tutti: la più grande crisi che l’economia mondiale ha vissuto dopo quella iniziata nel 1929, conclusasi con la tragedia della seconda guerra mondiale.
In conclusione?
Innovarea non è per tutti, ma soltanto per gli le imprese significanti. Per i “generativi” come direbbe il sociologo Magatti. Per coloro cioè che hanno il coraggio di allargare la propria ragione per pensare i fenomeni economici in modo più ricco. E così facendo generano valore per sé e per gli altri.