Per consuetudine, negli anni passati, la componente Piccola Industria (ma quando mai si riuscirà a cambiare questo termine, ormai desueto e completamente fuori dal contesto temporale?!) non ha pressoché rivestito in questi frangenti, ruoli di rilievo, ridotta al semplice status di gregario, allineandosi a strategie decise in altre sedi.
Costantemente esclusa “dalla stanza dei bottoni”, Piccola Industria per anni è stata relegata, gioco forza, in una sorta di recinto ove esercitare la propria attività di rappresentanza, a patto di non disturbare il “manovratore” e di pretendere visibilità o ruolo nella governance del Sistema.
Fatte queste opportune premesse, siamo convinti che le Pmi abbiano avuto nell’ultimo decennio una forte crescita in termini di maturazione e autorevolezza; ciò è avvenuto grazie a un lungo “cammino”, non ancora ultimato, contrassegnato da cambiamenti epocali e momenti particolarmente difficili per le nostre imprese. Un percorso che ci ha portato ad acquisire la consapevolezza di ricoprire un ruolo fondamentale per il Paese e contemporaneamente ci ha portato ad elaborare una coscienza che permette oggi alle stesse di rivestire un ruolo per il futuro sistema confindustriale. Ci candidiamo quindi alla leadership di Confindustria convinti che un percorso durato dieci anni, iniziato con la presidenza Morandini, proseguito poi con la presidenza Boccia e oggi con la presidenza Baban, ci abbia permesso una crescita “culturale”, prendendo coscienza del fatto che essere definiti piccoli imprenditori nel 2016, nulla abbia a che fare con l’identico concetto in voga fino ai primi anni duemila.
Dopo i mutamenti subiti dal sistema industriale dal 2008 in avanti, possiamo tranquillamente affermare come l’aggettivo “piccolo” non può più identificare una condizione statica e immutabile di un imprenditore, una sorta cioè di scelta aprioristica dello stesso che decide di far parte per sempre di una determinata categoria dimensionale; oggi essere “piccola impresa”, diventa un parametro della consapevolezza di trovarsi in una condizione di passaggio, una condizione dinamica e propedeutica al fine di preparare al meglio un percorso di crescita della propria azienda, crescita armonica e sostenibile, finalizzata a creare le precondizioni per diventare con il tempo dimensionalmente più grande.
Un’impresa che quindi necessariamente deve essere calata nel territorio e nel contesto nel quale opera ed è, per ciò stesso, a tutti gli effetti impresa sociale, nonché patrimonio dell’intera Comunità nell’accezione più alta, rappresentandone appunto: valori, istanze e interessi.
La lezione di questi anni ci ha insegnato, anche attraverso un percorso di profonda autocritica, come salvaguardare l’impresa, significhi in primo luogo mettere la persona al centro e soprattutto preoccuparsi del futuro delle prossime generazioni.
Questa lezione è stata compresa dagli imprenditori che in anni di profondi e sconvolgenti mutamenti, hanno capito che non vi è futuro senza formazione continua e crescita culturale dell’individuo, senza ricerca e innovazione, senza attenzione a temi di grande portata, come quelli ambientale e sociale, oltre a quelli cogenti, come ad esempio credito e internazionalizzazione.
Questi imprenditori sono gli stessi che nel mezzo di mille traversie hanno saputo resistere e adeguarsi al cambiamento, facendo di esso un fattore competitivo di successo. Queste imprese oggi rappresentano un modo di sentire e un modo di essere e sovente le troviamo nelle “periferie” del nostro disastrato Paese, impegnate a tenere in vita posti di lavoro, a costo di mille silenziosi sacrifici, che molto raramente godono l’attenzione dei media.
Possiamo affermare con orgoglio e consapevolezza che oggi la piccola e media impresa italiana è probabilmente l’unica realtà del Paese a rivestire un ben preciso tratto identitario e quindi quella maggiormente in grado di esprimere la rappresentanza del mondo imprenditoriale, in senso etico, nella sua interezza.
Ed è proprio in ragione di questa affermazione d’identità e per un recupero di forte rappresentanza, che riteniamo oggi di poter rivestire il ruolo di leadership del Sistema nell’interesse di tutte le imprese associate e certamente non con l’intento di essere contro o antagonisti di qualcuno, ma semmai con l’aspirazione di essere fautori e artefici di un cambiamento positivo per il bene del nostro Paese e delle future generazioni; generazioni che sempre più stanno perdendo fiducia e alle quali stiamo togliendo il patrimonio più grande: la speranza.
Siamo entrati nel pieno del confronto tra i quattro candidati alla presidenza nazionale di Confindustria