
Negli ultimi decenni la combinazione della riduzione dei costi di trasporto e della crescita dei livelli di reddito, tanto nelle economie sviluppate quanto in quelle emergenti, ha contribuito a generare una continua espansione del settore turistico, che è divenuto così fondamentale per lo sviluppo globale.
Con riferimento al Belpaese, i dati relativi al 2019 pubblicati dall’Istat nel consueto Annuario Statistico hanno quantificato in circa 93 miliardi di euro il contributo diretto del settore al Pil nazionale, equivalente a circa il 6% del totale, un valore che supera i 200 miliardi di euro includendo anche le attività economiche indirette, come la ristorazione, il trasporto di passeggeri, il commercio al dettaglio, le agenzie di viaggio, i tour operator, i servizi culturali, sportivi e di intrattenimento.
Dopo la “pausa” forzata connessa alla pandemia da Covid-19, il settore sembrava essere tornato al massimo del suo splendore, per lo meno durante il primo semestre dell’anno, prima di subire un brusco rallentamento nei mesi di luglio e agosto. Dati preliminari alla mano, quella del 2023 non sarà l’estate dei record che si preannunciava e, secondo il presidente di Federalberghi Bernabò Bocca, si è assistito a un calo generalizzato del 15% rispetto ai numeri del 2022, con punte anche fino al 30%. L’unica certezza riguarda il ritorno dei turisti stranieri, in aumento del 3,6% in base agli studi di Assoturismo.
Sebbene per i numeri definitivi occorrerà attendere i prossimi mesi, le ragioni di questo andamento del tutto inaspettato vanno ricondotte prevalentemente agli aumenti generalizzati dei prezzi degli ultimi mesi, che hanno costretto le famiglie italiane a fare i conti in tasca prima di partire. Secondo le proiezioni diffuse a luglio scorso da Federalberghi, ben il 41% degli italiani non sarebbe andato in vacanza tra giugno e settembre, mentre il 45% di chi è partito (o partirà) avrebbe cercato di contenere le spese, magari riducendo i giorni di permanenza. Anche i fenomeni climatici possono avere inciso, con fasi alterne tra temperature torride e nubifragi.
L’IMPATTO DEL TURISMO SULLE COMUNITÀ
Una delle principali conseguenze del ritorno alla normalità pre-pandemica è stata certamente il riaffacciarsi delle vecchie abitudini del cosiddetto overtourism, un’espressione con cui l’Organizzazione mondiale del turismo (Unwto) è solita indicare l’impatto del settore su una specifica destinazione in grado di “influenzare eccessivamente e in modo negativo la qualità della vita percepita dei cittadini e/o la qualità delle esperienze dei visitatori”.
Il settore è, difatti, caratterizzato da una molteplicità di esternalità negative, spesso non del tutto prese in considerazione dai policy maker, ansiosi di massimizzare i benefici economici connessi al suo sviluppo: inquinamento dell’aria e delle acque, aumento della produzione di rifiuti urbani ed eccessivo consumo delle risorse naturali sono soltanto alcune tra quelle più evidenti e maggiormente studiate. Ad esempio, uno studio pubblicato nel 2019 dalla rivista Nature ha dimostrato come circa l’8% delle emissioni di CO2 mondiali siano da imputarsi al settore turistico “allargato”, includendo cioè anche quelle connesse all’energia impiegata nel supportare le infrastrutture.
Al turismo, inoltre, va imputata la generazione del 14% di tutti i rifiuti solidi mondiali, con un potenziale aumento del 251% da qui al 2050 secondo le stime dello United Nations Environment Programme (UNEP). Basti pensare che la produzione di rifiuti giornaliera da parte di un viaggiatore può essere doppia rispetto a quella di un residente, con rischio crescente di sovraccarico degli impianti di trattamento dei rifiuti solidi, accompagnata da un aumento dei costi operativi, specialmente nelle destinazioni più rurali o con una bassa popolazione residente. Strutture alberghiere e ristoranti sono responsabili della maggior parte di tali rifiuti, con quasi la metà di essi costituita da alimenti: la loro riduzione aiuterebbe così a perseguire anche un secondo obiettivo trasversale identificato dall’Onu come prioritario, vale a dire garantire entro il 2030 l’accesso a tutte le persone nel mondo a cibo in quantità e qualità adeguate, senza sprechi. Infine, una struttura alberghiera può arrivare a consumare in media fino a otto volte la quantità di acqua pro-capite rispetto alla popolazione residente, aggravando la situazione in tutte quelle destinazioni che già abitualmente sono caratterizzate da una scarsità di questa preziosa risorsa.
Ma il turismo responsabile non è solo quello più rispettoso verso l’ambiente. Andando oltre gli impatti sull’ecosistema, un eccessivo numero di turisti può comportare effetti negativi anche per la quotidianità dei residenti, i quali possono arrivare a sviluppare una vera e propria avversione verso i visitatori. Senza arrivare al caso estremo dei lanci di uova verso gli autobus carichi di viaggiatori documentati a Barcellona, un esempio emblematico in Italia è rappresentato dalla città di Venezia, recentemente inserita dall’Unesco nella list of World Heritage in Danger, a causa del “continuo deterioramento dovuto all’intervento umano, compreso il continuo sviluppo, gli impatti dei cambiamenti climatici e del turismo di massa”. Nel 2019 il capoluogo veneto ha registrato quasi 13 milioni di presenze, per il 70% concentrate nel centro storico, dove risiedono meno di 50mila abitanti; a ciò occorre poi aggiungere il flusso di escursionisti giornalieri, in grado di rendere ampie zone della città praticamente invivibili.
UN FUTURO A “NUMERO CHIUSO”?
Come conseguenze di queste risultanze, le politiche future per il turismo saranno sempre più chiamate a valutare tutti i costi potenziali, definendo strategie di sviluppo che coniughino la crescita turistica ed economica con maggiore sostenibilità e responsabilità. In tal direzione va letta, ad esempio, la recente decisione della Provincia Autonoma di Bolzano, che ha introdotto un limite ai pernottamenti annuali (quantificati in massimo 34 milioni, pari al numero di presenze turistiche del 2019) e il divieto di aprire nuove strutture ricettive, al fine di proteggere il territorio dagli effetti avversi dell’overtourism. Questa scelta appare oggi come un unicum nel panorama italiano ed europeo; come spiegato dall’assessore Arnold Schuler, si è resa inevitabile poiché “il territorio, la comunità e le risorse come acqua ed energia erano arrivate a un livello di sfruttamento che non doveva e poteva più essere superato”.
O, ancora, nella piccola Portofino sono state introdotte piccole “zone rosse” in cui i turisti non potranno fermarsi e creare assembramenti, al fine di “aumentare la sicurezza e preservare il bello della città”.
Infine, è recente la conferma che Venezia introdurrà in via sperimentale a partire dal 2024 un ticket d’ingresso di cinque euro, innalzabile fino a dieci euro, con l’obiettivo di disincentivare il turismo giornaliero. Saranno, invece, esentati dal pagamento i turisti che soggiornano negli hotel e nelle strutture ricettive situate all’interno del territorio comunale.
NUOVI TREND SOSTENIBILI PER IL SETTORE
Le richieste di cambiamento non dipendono solamente dalle necessità crescenti di tutelare l’ambiente e le comunità locali, ma provengono dai viaggiatori stessi, offrendo così grandi opportunità di business per gli imprenditori del settore, a patto che sappiano coglierle in maniera opportuna. Un recente sondaggio condotto da Booking.com ha mostrato come oltre l’80% degli intervistati inizi a considerare l’importanza di viaggiare in maniera sostenibile. Inoltre, oltre la metà di essi ha dichiarato di essere pronto ad assumersi in prima persona la responsabilità di contribuire alla riduzione del fenomeno dell’overtourism, arrivando anche a cambiare la destinazione originale scelta con una alternativa meno conosciuta ma con caratteristiche similari.
(Per la foto in alto, copyright: <a href=’https://it.123rf.com/profile_claudiodivizia’>claudiodivizia</a>)
Nota sugli autori

NICCOLÒ COMERIO
Niccolò Comerio è ricercatore di Politica economica presso la LIUC – Università Cattaneo, dove dirige il Responsible Tourism LAB. È visiting researcher presso il Center for Tourism Research della Wakayama University (Giappone). I suoi interessi di ricerca si concentrano sul settore turistico e, nello specifico, su un suo sviluppo più sostenibile e responsabile. Infine, è docente nei corsi di macroeconomia, Economia pubblica, di Competizione, mercati e Politiche economiche, nonché del corso “Asia in the World Economy”.

MASSIMILIANO SERATI
Massimiliano Serati è Dean della LIUC Business School e professore associato di Politica economica presso la LIUC – Università Cattaneo. In ambito territoriale si occupa di Analisi, sviluppo e valorizzazione delle attrattività territoriali con particolare enfasi per le dimensioni culturali e turistiche, di costruzione mediante metodologie econometriche di indicatori socio-economici di monitoraggio per l’analisi del territorio, di politiche di sviluppo locale e strumenti di supporto alle decisioni di programmazione, di analisi di scenario territoriale e settoriale, di valutazione di impatto economico di investimenti, infrastrutture ed eventi.