L’innovazione, prima che da algoritmi e robot, è fatta da persone capaci di immaginarla e realizzarla. Il capitale umano è dunque il primo asset su cui puntare per essere competitivi e resilienti. Da dieci anni l’associazione GammaDonna, che ha sede a Torino, è impegnata nella valorizzazione dell’imprenditoria femminile e giovanile. Abbiamo chiesto a Valentina Parenti, co-fondatrice dell’associazione e amministratore delegato di Valentina Communication, il perché di questo impegno e le prospettive sul futuro.
Con quali obiettivi è nata l’associazione GammaDonna?
La motivazione è anzitutto di carattere economico e sociale: l’associazione nasce con la mission di recuperare e valorizzare risorse primarie per il nostro Paese, mirando a riequilibrare un modello di sviluppo che penalizza pesantemente le donne e i giovani nel mondo dell’impresa. Un’economia che trascura metà delle risorse a disposizione, sulle quali peraltro ha investito notevolmente, formandole e istruendole ad alti livelli, è votata al suicidio.
Dati e storie di successo alla mano, l’obiettivo è dimostrare la vitalità imprenditoriale e la capacità innovativa di donne e giovani, sempre più spesso portatori di un’innovazione in cui tecnologia e sostenibilità costituiscono un binomio possibile. E sono ormai tredici anni, dal 2004, che lavoriamo su questo fronte.
Si è da poco conclusa l’edizione 2017 del Premio GammaDonna, assegnato quest’anno a Betta Maggio per U-Earth Biotechnologies. Perché istituire un riconoscimento?
È un premio pensato per imprenditrici e imprenditori sconosciuti, o quasi: una scommessa sulla capacità dell’impresa italiana, soprattutto quella consolidata, di cavalcare il cambiamento in ottica di open innovation, presupposto fondamentale affinché il nostro sistema produttivo possa mantenersi competitivo.
Nelle edizioni passate abbiamo elaborato oltre 800 candidature da tutta Italia. Parecchio è cambiato, nel tempo: l’età media delle candidature è diminuita e oggi si attesta sui 32 anni, sono aumentati diplomati e laureati, abbiamo registrato una crescente partecipazione dal Sud Italia e prevalgono le società di capitali; startupper sì, ma soprattutto innovatori in aziende tradizionali e consolidate di ogni settore.
E poi?
Nel 2014 abbiamo affiancato al Premio il “Giuliana Bertin Communication Award” per ricordare la fondatrice di GammaDonna, autentica fuori classe della comunicazione, un fattore chiave spesso sottovalutato. Nel 2018 festeggeremo il decennale del Premio e stiamo pensando a un coinvolgimento speciale dei vincitori e delle vincitrici delle passate edizioni, affinché possano raccontare gli sviluppi della loro storia di innovazione. Un’ottima occasione per interrogarli anche sulla loro visione del futuro.
È cambiata la possibilità per le donne di diventare imprenditrici?
Direi che sta gradualmente cambiando l’atteggiamento della business community nei confronti di chi ha intenzione di fare impresa. Parlando di lavoro di squadra, certe attitudini tipicamente femminili come l’empatia e la capacità di equilibrare i rischi, rappresentano un valore aggiunto indiscusso.
Come si rapportano con un contesto sempre più caratterizzato da 4.0, IoT, cloud e tecnologia?
Riguardo la possibilità di misurarsi alla pari con gli uomini nell’hi-tech, esiste una vasta casistica mondiale che prova come questo non sia un problema.
Semmai il gap va ricercato nella scarsità di donne che operano nel settore e nelle motivazioni che ne stanno alla base. È noto come le nostre giovani siano, a partire da una certa età, generalmente poco propense alla scelta di indirizzi tecnico-scientifici. Si tratta di un problema culturale, che si alimenta tutt’oggi di stereotipi senza senso e che ha origini profonde e radicate nelle stesse famiglie di provenienza e nella società.
Un problema che va contrastato su più piani, e fin dai primi anni di scolarizzazione, facendo bene attenzione a riequilibrare l’enfasi tecnicistica sulle Stem con la A delle arti liberali, imprescindibili per l’apertura mentale richiesta oggi dal mondo del lavoro.
Come Paese stiamo dando sufficienti opportunità ai giovani che vogliono fare impresa?
In estrema sintesi, no. Il problema è complesso e richiede una seria analisi. La nostra (limitata) esperienza indica che, più che finanziamenti, ai neoimprenditori serve un sistema relazionale che li “connetta” con il mondo che li circonda.
Parliamo di ricerca, formazione nelle sue varie declinazioni, relazioni internazionali, un carico non eccessivo di balzelli e lacciuoli: insomma, un sistema agile e intelligente dove la burocrazia, se non eliminata, sia ridotta al minimo.