Nessun dubbio sulla necessità di chiudere l‘annosa questione viene dagli illustri conoscitori della materia che hanno animato il panel dibattito “La comunicazione d’impresa e l’attività di lobbying”, recentemente organizzato dal Club Relazioni Esterne, l’Associazione La Scossa e l’Università Luiss Guido Carli. Un incontro che ha rappresentato una tappa importante nella vita del Club Relazioni Esterne che, a breve, presenterà una piattaforma di linee guida su questo tema così strategico.
Ciclicamente la questione della necessità di una legge viene sollevata sull’onda di emotività mediatiche, solitamente a seguito di gravi scandali. Poi, come accade per un fenomeno carsico, si torna sottotraccia e il fervente dibattito scompare, per risalire magari in superficie allo scandalo successivo.
Giova allora sottolineare l’urgenza di una normativa esaustiva: se infatti esistono professionisti che svolgono in maniera trasparente e proattiva l’attività di rappresentanza degli interessi c’è invece chi esula da questo perimetro molto chiaro e netto, vale a dire quei faccendieri di cui sono piene le cronache e che devono essere espulsi dal sistema.
Sono ben 59 i disegni di legge presentati dal 1974 ad oggi, per ora senza alcun esito. A livello regionale si continuano ad approvare normative separate: è accaduto recentemente in Calabria come in tempi passati in Toscana, Abruzzo, Molise, nonché in Sicilia, che nello statuto costituzionale ha una norma sulle lobby. Nulla però di organico si è ancora fatto a livello nazionale se non qualche piccolo passo in avanti, quanto meno formale: la regolamentazione approvata alla Camera, è senza dubbio un piccolo embrione che norma l’accesso ai “palazzi”, ma non prevede sanzioni e reciprocità.
Nel mettere a punto un’efficace regolamentazione vanno tenute presenti due importanti avvertenze.
La prima: non va fatto l’errore di incrementare gli oneri sul sistema produttivo, quindi bisogna evitare l’eccesso di reportistica. Secondo: non affastellare i processi interni alla Pubblica Amministrazione, il che significa, in sostanza, non inventarsi nuovi organismi, istituzioni, agenzie.
Una sana e trasparente attività di lobbying è senza dubbio indice di democrazia e consente al decisore di trovare un punto di equilibrio e assumersi la responsabilità di decidere sui temi che gli vengono posti. Ma la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la disintermediazione dei processi decisionali, l’utilizzo dei mezzi di comunicazione – molto diverso dal passato – porta la lobby a essere un’attività che va ben oltre l’incontro con il singolo decisore. Certo, è sempre necessario confrontarsi con chi detiene la leva legislativa, senza però dimenticare che il legislatore stesso è più orientato a scegliere sotto l’influsso di una valanga di tweet, di una petizione su change.org, di una un’e-mail dei suoi stakeholder locali. Un esempio proveniente dall’estero definisce bene la nuova situazione del “Lobby 2.0”: il sindaco di New York, Michael Bloomberg volle mettere un freno all’uso di bevande gassate. Le aziende che temevano il provvedimento misero in atto una campagna sui social network basata sullo slogan: “si limita la libertà di scelta”. Mobilitarono centinaia di migliaia di newyorkesi e al grido di “voglio bere come voglio e quanto voglio” spinsero Bloomberg a ritirare la decisione.
Questo episodio dimostra come mobilitare, coinvolgere, rendere gli stakeholder partecipi dell’azione di lobby cambia completamente metodi e strumenti di questa attività.
L’incontro finale con il decisore diventa allora nient’altro che una certificazione di un movimento che nasce dal basso: se questo è vero, l’attività del lobbista va ben oltre l’accesso a luoghi e documenti e la regolamentazione di incontri.
La normativa sulla lobby deve essere immaginata, quindi, ad ampio spettro.
Per farlo serve una politica forte e uno scenario in cui debba essersi ricomposto lo scontro giustizia-politica e in cui si sia ripensato anche il sistema di finanziamento della politica, strettamente connesso all’attività di lobby.
Nel 2006 l’UE ha messo in campo un’iniziativa per la trasparenza articolata in tre punti: un sistema di registrazione su base volontaria con incentivi per incoraggiare i lobbisti a registrarsi; un codice di condotta comune per tutti i lobbisti; un sistema di controllo e di sanzioni da applicare, in caso di registrazione errata o di violazione del codice di condotta.
Una base interessante per arrivare a dei buoni risultati anche in Italia.