È il silenzio, e l’atmosfera di irrealtà che si porta dietro, il lascito più doloroso di un terremoto. D’un tratto, luoghi abituati alla vita, al brusio delle chiacchiere lungo le vie, allo scalpiccio sui marciapiedi, alle automobili, ai campanelli delle botteghe, perdono come la voce.
Improvvisamente afoni, improvvisamente tristi. Così per Amatrice, Accumoli e Arquata del Tronto, così per molti luoghi dell’Emilia, così per l’Aquila che dopo sette lunghi anni da quel terribile 6 aprile non è ancora tornata la città di un tempo.
Credo di interpretare il desiderio di molti imprenditori, se non di tutti, dicendo che noi desideriamo il “rumore”. Non un rumore qualsiasi, ma quello dell’operosità, delle persone che lavorano e dei bambini che vanno a scuola. Per questo ci stiamo impegnando, come Confindustria, con una grande azione di solidarietà che abbiamo messo in moto praticamente già all’indomani del sisma del 24 agosto.
Accanto alla raccolta fondi, realizzata come di consueto in sinergia con le tre sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil, abbiamo lanciato infatti il Programma Gestione Emergenze, nato da un’esperienza territoriale di Piccola Industria. Non mi dilungherò sugli aspetti tecnici, sui quali troverete un’ampia descrizione nelle pagine dedicate al terremoto. In questo spazio mi limiterò a sottolineare la novità dell’approccio, che vuole responsabilizzare ciascun anello della catena di solidarietà – dalla raccolta dei beni al loro stoccaggio, alla distribuzione agli utenti finali – traendone allo stesso tempo un modello operativo standardizzato e, proprio per questo motivo, in grado di essere trasmesso e adoperato a distanza di tempo e di luogo.
Sono molti i commentatori e gli analisti che, su questioni differenti da quella del terremoto, hanno stigmatizzato in passato la modesta capacità organizzativa degli italiani, bravissimi nel lanciarsi in progetti e iniziative ma non altrettanto efficaci nell’attuarli. Con il P.G.E. e con tutto quello che ne scaturirà nei prossimi mesi, noi vorremmo sfatare questo mito offrendo il nostro contributo di esperienza e professionalità. Gli imprenditori sono parte del Paese e vogliono testimoniarlo attraverso un impegno concreto, che allevi le sofferenze di chi ha perso tutto e che offra un aiuto a chi ricomincia fra le difficoltà e con ancora tanto dolore nel cuore.
Un ultimo cenno alla ricostruzione che verrà. Facciamo in modo che la nuova Amatrice e tutti i borghi danneggiati rinascano belli come prima e solidi per davvero. Investiamo nella prevenzione, nelle costruzioni a norma, nel rispetto sostanziale (e non puramente formale) delle leggi. Collaboriamo con le istituzioni per risolvere i problemi, non restiamo prigionieri dei rimpalli e per questo pretendiamo da loro decisioni chiare e chiare assunzioni di responsabilità.
Nessuno restituirà ai sopravvissuti i loro cari e quella che era la loro vita prima del 24 agosto 2016. Facciamo, però, che chi non è più con noi non sia morto invano, impariamo come Paese questa lezione e impariamola per davvero.
A maggio di quest’anno il presidente Vincenzo Boccia chiedeva a tutti noi di prenderci cura della nostra Italia perché è un patrimonio che abbiamo ricevuto in prestito e lo dobbiamo restituire. “Migliorato, non impoverito”, raccomandava.
Oggi mi sento di rilanciare questo suo appello con l’augurio di non dovere mai più spendere parole per ricordare le vittime di un terremoto, ma di tornare a sentire presto il “rumore” della vita. Ad Amatrice e non solo.
C’è una cosa che accomuna tutti i luoghi colpiti da un terremoto. Una volta conclusa la fase di emergenza, salvate quante più vite possibili e dato rifugio ai superstiti, una coltre di silenzio si deposita sulle macerie come polvere impalpabile