Una nave da crociera tedesca attraccava nel porto tunisino de La Goulette il 7 ottobre 2016. Niente di strano per un paese a forte vocazione turistica, a prima vista. Ma l’arrivo dei crocieristi ha un valore enorme per la Tunisia, dove l’industria del turismo è crollata subito dopo l’attentato al Museo del Bardo, obbligando il paese a ripensare la propria strategia economica.
È solo l’ultimo, in ordine cronologico, di una serie di segnali che si stanno diffondendo nel Mediterraneo e che confermano il ruolo della Tunisia come laboratorio sociale mediterraneo e hub di stabilità regionale. “Vogliamo costruire un Tavolo operativo per rafforzare il partenariato industriale e la presenza in Tunisia delle imprese italiane che fanno parte dell’Associazione. – spiega Giovanni Ottati, neo presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo – Intendiamo creare con la Tunisia un vero e proprio asse strategico nel Mediterraneo, anche alla luce del piano quinquennale di sviluppo tunisino 2016-2020, che destina quasi 60 miliardi di euro a cinque grandi aree di intervento: governance, infrastrutture, sviluppo umano e inclusione sociale, sviluppo regionale, green economy e sviluppo sostenibile. Tutto questo significa creare opportunità importanti di lavoro e business per le imprese italiane”.
Sarà, infatti, la grande Conferenza per gli investimenti in calendario il 29 e 30 novembre a Tunisi a illustrare al mondo del business il nuovo Codice per gli investimenti tunisino e le priorità di sviluppo settoriale del paese. L’obiettivo è portare la crescita annua del Pil al 4% (a fronte dell’1,5% registrato tra il 2011 e il 2015) e, complementariamente, creare 400mila nuovi posti di lavoro, ridurre il tasso di disoccupazione (-12% entro i prossimi cinque anni), migliorare il clima degli affari nel paese, con un aumento del tasso di investimento al 25% del Pil entro il 2020, dando impulso al partenariato tra il settore pubblico e privato.
All’ambizioso piano di riforme si aggiungono 50 megaprogetti nel settore delle infrastrutture, dell’industria e dell’energia per un investimento di 50 miliardi di euro finanziati da risorse locali, finanziatori e donatori nazionali ed esteri. Già a maggio, infatti, la Banca Mondiale ha approvato per la Tunisia una nuovo piano di aiuti e prestiti del valore di oltre cinque miliardi di dollari, da erogare in cinque anni, per la crescita economica del paese e la creazione di occupazione per giovani e donne.
E sono proprio queste due componenti della società civile tunisina, che hanno avuto un ruolo centrale nel processo di cambiamento e di rinnovamento dell’area, che non può certo dirsi concluso, i destinatari dell’azione dell’Unione per il Mediterraneo per combattere la disoccupazione strutturale, che sempre più preoccupa i governi dei paesi dell’area.
Di sicuro c’è oggi una significativa convergenza di fatto tra le politiche per favorire la crescita economica dei paesi mediterranei che mancano di materie prime come Marocco, Tunisia e Italia. Ma anche di quelli che ne sono ricchi, come l’Algeria che, penalizzata dalla caduta del prezzo di petrolio, manda un significativo segnale di cambiamento sulla regola 49/51, che limita la partecipazione di investitori stranieri nelle imprese locali al 49%, eliminandola dal Codice degli investimenti e portandola nell’ambito normativo della Legge Finanziaria annuale, aprendo quindi la strada a una sua eventuale modifica o soppressione. Un cambiamento per ora circoscritto al perimetro legislativo, ma che fa intravedere nuove dinamiche di dialogo tra governo e settore privato algerino, attore centrale e attivo in questo processo legislativo.
Più in generale, sta emergendo un rinnovato ruolo e apertura verso l’estero del settore privato mediterraneo in questa fine del 2016, dopo alcuni anni di ripiegamento sui problemi interni dei rispettivi paesi. Si chiamano, ad esempio, HOMERe – Haute Opportunité en Méditerranée pour le Recrutement de cadres d’excellence e SOLiD-South Mediterranean Social Dialogue, i due grandi progetti pilota finanziati dall’Unione europea – rispettivamente per la formazione di futuri quadri aziendali sud-mediterranei attraverso stage presso imprese dei paesi della sponda nord del Mediterraneo e per la promozione del dialogo sociale in Giordania, Marocco e Tunisia – che BusinessMed, la “Confindustria” delle “Confindustrie mediterranee”, sta portando avanti insieme ad altri partner istituzionali.
Da sempre impegnata per l’interconnessione tra business communities, BusinessMed, guidata dal presidente Jean-Jacques Sarraf, Libano, e dai vice presidenti Alberto Baban Confindustria e Saida Neghza della Confédération générale des entreprises algériennes, sarà a Roma per il grande Forum Euromediterraneo il 30 novembre prossimo.
BusinessMed ha sede a Tunisi: un elemento che sottolinea, una volta di più, che il Mediterraneo è autofertilizzante e che, rigenerandosi, determina poi quei cambiamenti che da sempre influenzano la storia.