All’Italia sarebbe necessaria una superficie di quasi 3,5 milioni di ettari, un territorio più grande della Sicilia, per raggiungere l’autosufficienza nelle produzioni di cereali, zucchero e altre colture industriali, così da poter evitare l’import. Questo uno dei dati più interessanti evidenziato dalla ricerca “Il valore del settore agricolo nelle performance di filiera”, curata da Nomisma e promossa da Assitol, l’Associazione Italiana dell’Industria Olearia, in occasione del suo cinquantesimo compleanno.
Lo studio, presentato nel corso del convegno che si è tenuto mercoledì 21 settembre presso un albergo romano, ha portato alla luce alcuni tratti distintivi dell’agricoltura di casa nostra, un modus operandi che ha poi finito per influire sulle scelte del comparto industriale. Tra i numeri evidenziati quello dei circa 12,5 milioni di ettari che corrispondono alla Superficie agricola utilizzata (Sau) in Italia: un’estensione territoriale nettamente inferiore rispetto a quella di cui possono godere i grandi competitor agroalimentari d’oltre confine. La nostra Sau, infatti, corrisponde al 2% della Cina, al 3% degli Stati Uniti e, in ambito europeo, al 45% e al 54%, rispettivamente, di Francia e Spagna.
“Per comprendere il passato e il presente ci è sembrato giusto partire dallo scenario agricolo in quei settori che ci vedono in prima linea da 50 anni e con un’attenzione particolare all’evoluzione della spesa degli italiani. Anche se la crisi morde, noi intendiamo aprire una porta sul futuro: questa giornata vuole essere una risposta a chi vede sempre nero, parla sempre male dell’economia italiana, attacca senza mai proporre idee e soluzioni. Noi, al contrario, vogliamo continuare ad aiutare le aziende a garantire agli italiani alimenti buoni, sicuri e salutari, creando al tempo stesso benessere e sicurezza”, ha detto Riccardo Cassetta, presidente di Assitol.
Una ricerca, quella curata da Nomisma, che ha analizzato in particolare le filiere in cui opera Assitol a partire dal 27 aprile 1972, giorno della sua nascita. Quelle degli oli d’oliva e da semi, dei semilavorati per la panificazione, pizzeria e pasticceria, condimenti spalmabili, lievito da zuccheri, agroenergie e biodiesel.
“La non autosufficienza produttiva di molte filiere agroalimentari italiane era un dato certo ben prima del conflitto in Ucraina, evento che ha solo finito per aggravare la situazione – ha chiarito Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma e curatore della ricerca –. A maggior ragione rinunciare alle importazioni per sostituirle integralmente con la produzione nazionale è impensabile, a meno di non voler tagliare in maniera significativa il nostro export di prodotti agroalimentari che, a fine 2021, ha superato i 50 miliardi di euro. L’obiettivo dovrà essere quello di colmare, almeno parzialmente, il deficit produttivo garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti attraverso l’implementazione dei quantitativi. Tutto questo senza dimenticare gli obiettivi, ambiziosi e francamente poco raggiungibili, imposti dall’Ue per la transizione ecologica e che rischiano di far diminuire ulteriormente la produzione”.
Un altro aspetto che va ad influire notevolmente sui dati emersi dallo studio è il sottodimensionamento delle aziende agricole, per la maggior parte medio-piccole. Più di tre quarti delle imprese del settore primario ha infatti a disposizione terreni al di sotto dei 10 ettari, con solo il 4,5% a poter svolgere il lavoro giornaliero su aree di grandi dimensioni, oltre i 50 ettari.
Da quanto evidenziato dall’ultimo censimento generale sull’agricoltura, sono le aziende agricole più grandi ad effettuare investimenti in innovazione, leva strategica in grado di assicurare maggiore redditività e sostenibilità economica alle attività agricole, favorendo l’aumento della produzione. Incremento che aiuterebbe moltissimo l’economia italiana. Questo perché, guardando i dati comunicati da Nomisma, il livello di approvvigionamento da filiere nazionali – come quella olivicola e in parte la cerealicola – è parecchio al di sotto del 50%. Per la filiera saccarifera, invece, la ricerca parla purtroppo di “desertificazione” produttiva materializzatasi dopo la riforma Ocm del 2005, trend che ha conseguentemente generato una rilevante dipendenza dall’import.
Ma nonostante tutte queste problematiche a cui fare fronte, i comparti degli oli vegetali, dei cereali e dello zucchero hanno contribuito notevolmente al successo dell’agroalimentare italiano. Aspetto positivo dovuto, in principal modo, alla capacità nazionale di valorizzare le importazioni per sostenere l’export. Secondo la ricerca di Nomisma, l’apertura internazionale del settore ha generato una maggiore disponibilità di derrate agricole rendendo più convenienti gli acquisti alimentari. E, per comprendere ancor meglio il concetto, va sottolineato come nel 1971 le famiglie italiane spendevano in media il corrispettivo odierno di 700 euro al mese, mentre nel 2021 tale importo è sceso a 470 euro.