In un mondo in cui le risorse sono sempre più limitate e i problemi ambientali sempre più evidenti è urgente trovare nuove soluzioni produttive per lo sviluppo di un modello economico a minore impatto. Tra queste soluzioni l’economia circolare, frequente oggetto di approfondimento e discussione nell’opinione pubblica, sembra offrire una strada promettente verso un futuro più sostenibile.
UN CAMBIO DI PROSPETTIVA
L’economia circolare mira a promuovere la diffusione di modelli di produzione e consumo sostenibili basati sul riuso e il reinserimento delle risorse nell’economia, così come sull’innovazione dei processi mirata a un uso differente degli input di produzione. Questo approccio prevede la sostituzione del tradizionale modello lineare “produzione, consumo, smaltimento in discarica” (o anche “take, make, dispose”, per citarlo nella sua versione inglese) con una strategia di “riutilizzo, recupero e riciclo”.
L’idea su cui si basa l’economia circolare è quella di considerare i prodotti come qualcosa destinato a rimanere in circolazione (e in uso) nel lungo periodo, attraverso azioni di riparazione, trasformazione, riutilizzo nella forma di nuovi prodotti (o componenti di nuovi prodotti). In altre parole, l’economia circolare intende sostituire il concetto di “fine vita” dei prodotti con il concetto di “rivitalizzazione” dei prodotti stessi, puntando a una completa eliminazione dei rifiuti attraverso una più efficace ri-progettazione dei prodotti e dei processi delle imprese, prevedendo il ricorso a risorse e fonti di energia rinnovabile e l’eliminazione dell’uso di sostanze inquinanti.
Una delle premesse fondamentali dell’economia circolare è quindi mantenere i materiali e le risorse attraverso cui vengono realizzati i prodotti all’interno di un flusso. Ciò significa per le imprese condurre il proprio business secondo la logica del massimo ricircolo di materiali e risorse, prima che i prodotti che incorporano tali materiali e risorse vengano smaltiti come rifiuti.
UNA QUESTIONE CHE RIGUARDA ANCHE LE PMI
Se si desidera davvero incidere positivamente sull’impatto ambientale, e non solo, dei sistemi socioeconomici, l’economia circolare deve essere alla portata non solo di grandi aziende e multinazionali, ma anche di piccole e medie imprese (Pmi).
In Italia, dove il tessuto imprenditoriale è composto da 206mila Pmi, responsabili del 41% del fatturato nazionale, diventa fondamentale che esse siano coinvolte in modo ampio e sistemico. Le Pmi sono anche il motore dell’economia europea: esse sono in Europa 25 milioni, costituiscono il 99% di tutte le imprese, danno lavoro a circa cento milioni di persone (fornendo due terzi dei posti di lavoro nel settore privato), generano circa il 56% del prodotto interno lordo dell’Unione europea.
In questi ultimi anni le Pmi, sia italiane che europee, hanno dovuto affrontare un periodo complicato, influenzato negativamente da una serie di problemi connessi alla pandemia, al rincaro dei prezzi delle materie prime, all’aumento dei prezzi dell’energia e alla carenza di dipendenti qualificati. Si pensi che nel 2020 il numero di Pmi europee è calato dell’1,3%, l’occupazione nelle piccole e medie imprese è calata dell’1,7%, il valore aggiunto da loro generato è diminuito del 7,6%, oltre il 60% ha registrato un calo del fatturato e il 66% ha posticipato decisioni di investimento o ridimensionato investimenti[1].
In questo scenario complesso e sfidante, l’economia circolare può rappresentare per le Pmi una grande opportunità, migliorando l’efficienza nell’uso delle risorse e permettendo agli imprenditori di ottenere svariati vantaggi aziendali. Accanto all’efficienza e al minor impatto sull’ambiente, la letteratura e la pratica delle imprese hanno messo in evidenza altri importanti vantaggi potenziali per le Pmi che adottano modelli di business circolari: la ridotta esposizione all’aumento e alla volatilità dei prezzi delle risorse, lo stimolo all’innovazione “circolare”, la creazione di un’immagine ecologica dei prodotti, dei processi e dell’azienda, l’apertura a nuovi mercati e la conseguente opportunità di crescita.
FRA OSTACOLI DA SUPERARE E LEVE PER LA TRANSIZIONE
Diffondere la circolarità tra le Pmi presenta purtroppo numerosi problemi, che scaturiscono dalla necessità, per ciascuna azienda, di mettere in discussione il proprio processo di produzione e modello di business per individuare potenziali strade alternative, più sostenibili e circolari. Tra i principali troviamo l’ingente bisogno di risorse economiche da dedicare alla ricerca, allo scale-up industriale delle tecnologie, all’innovazione di processo e di prodottoA queste difficoltà si aggiunge la scarsa chiarezza dell’apparato normativo, che porta incertezza oltre a un carico di burocrazia disincentivante per l’azienda.
Per le Pmi italiane si apre poi una nuova sfida: esse operano in filiere in cui ci sono attori ben più grandi, che possiedono maggiore potere contrattuale, che rendono assai difficile per loro affermarsi con un nuovo modello di business, o imporre le proprie soluzioni (tecnologiche) circolari in autonomia. Inoltre, le Pmi italiane generalmente non dispongono della rete, dei contatti e del tempo necessari a stabilire le relazioni intersettoriali, che sono invece indispensabili per facilitare il massimo ricircolo di materiali e risorse.
Nonostante il contesto apparentemente poco favorevole, corre anche l’obbligo però di segnalare alcune leve che, se sfruttate adeguatamente, possono permettere al nostro tessuto industriale di superare gli ostacoli che la transizione circolare presenta.
Prima leva: il valore delle nostre filiere e delle loro interconnessioni. Le Pmi italiane sono indissolubilmente legate a doppio filo con la filiera in cui operano, sono fortemente connesse alle catene di fornitura verso cui si approvvigionano e alle richieste dei loro clienti. Per questo motivo, lo sviluppo di supporto e condivisione tra tutti i player della filiera può configurarsi come una leva di successo per l’implementazione di modelli di economia circolare. Pertanto, la facilitazione dello scambio di conoscenze e la collaborazione a settori di attività incrociati possono rappresentare un elemento chiave affinché si possa minimizzare l’impatto ambientale delle attività produttive e raggiungere il massimo potenziale di conservazione del valore.
Seconda leva: la nostra capacità di design. Se è vero che l’economia circolare richiede di progettare una nuova economia a partire dal ridisegno dei prodotti e dei processi di produzione, questa transizione sarà possibile solo facendo ricorso alla nostra capacità di design, anche riconosciuta a livello internazionale.
Ciononostante, complici purtroppo anche i recenti scossoni causati dalla pandemia, abbiamo rallentato il passo per il raggiungimento di un’economia di tipo rigenerativo, così come è quella circolare, attraverso la nostra capacità di saper creare e saper progettare. La svolta per un’economia sostenibile e più circolare in Italia deve passare necessariamente da una rivoluzione industriale che non veda le Pmi come l’ultima ruota del carro, bensì come traino di questa transizione, forte del valore e dell’interconnessione delle sue filiere e della sua capacità di design. L’Italia ha quindi molte chance per affrontare le sfide che l’economia circolare impone e diventare leader di questo cambiamento.
[1] https://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/ATAG/2021/690633/EPRS_ATA(2021)690633_IT.pdf.
Nota: Questo progetto di ricerca rientra nelle iniziative del Green Transition Hub della LIUC Università Cattaneo ed è sostenuto anche finanziariamente da Intesa Sanpaolo nell’ambito dell’assegno di ricerca “La transizione delle imprese verso un’economia circolare: analisi delle implicazioni nei processi e nelle funzioni aziendali”
NOTA SUGLI AUTORI
Mario Fontanella Pisa (Project manager nel Green Transition Hub, LIUC) è assegnista di ricerca sui temi di Economia circolare e sostenibilità presso la LIUC – Università Cattaneo e coordinatore del corso a catalogo “Circular Economy Management” della LIUC Business School. Nell’ambito del suo assegno di ricerca, finanziato da Intesa Sanpaolo, sta approfondendo i temi relativi all’adozione dell’Economia circolare nelle Pmi nei territori di Varese, Como e Lecco.
Raffaella Manzini (Steering Committee nel Green Transition Hub, LIUC) è professore ordinario di Gestione dell’Innovazione presso la Scuola di ingegneria industriale della LIUC – Università Cattaneo, che dirige, nonché membro della Core Faculty della LIUC Business School. I suoi interessi di ricerca riguardano l’open innovation, la gestione della proprietà intellettuale, le attività di technology intelligence e scouting, la misura delle performance innovative e il technology assessment. È altresì direttrice dell’Osservatorio IPcube della LIUC Business School.
Andrea Urbinati, PhD, (Deputy director del Green Transition Hub, LIUC) è docente di Analisi strategica e Progettazione organizzativa presso la Scuola di ingegneria industriale della LIUC – Università Cattaneo e membro della Core Faculty della LIUC Business School. I suoi interessi di ricerca riguardano i filoni dell’economia circolare, della progettazione di modelli di business circolari e delle tecnologie digitali. È membro ordinario della International Society for Circular Economy (IS4CE).