
In Italia, secondo un recente studio dell’Ance, le zone a rischio sismico rappresentano l’85% della superficie del territorio e l’80% in termini di popolazione e famiglie e interessano circa 5.800 comuni. Le aree a elevata criticità idrogeologica (rischio frana e/o alluvione) rappresentano circa il 10% della superficie italiana (29.500 kmq) e riguardano l’89% dei comuni (6.631). “Sono numeri che fanno riflettere – afferma Diego Mingarelli, vice presidente Piccola Industria Confindustria per Europa, Sviluppo e coesione territoriale, Resilienza e PGE. – Una più radicata e diffusa consapevolezza del livello di esposizione al rischio avrebbe consentito, nel tempo, lo sviluppo di una adeguata politica di previsione, di prevenzione e preparazione finalizzata alla riduzione della vulnerabilità del territorio”.
Quanto incide tutto ciò?

DIEGO MINGARELLI
Il costo della mancata prevenzione è altissimo: circa 3,5 miliardi di euro l’anno. Anche la Commissione europea ha più volte sottolineato l’assoluta necessità di investire nella prevenzione dei rischi al fine di preservare le capacità di sviluppo economico e sociale degli Stati membri dell’Unione, evidenziando che è molto più efficace attuare programmi di prevenzione piuttosto che dover sopportare i costi dell’inerzia. Secondo la Commissione, infatti, ogni euro speso in prevenzione permette di ridurre di almeno quattro euro le spese legate all’emergenza, alla ricostruzione e al risarcimento dei danni provocati dalle calamità naturali. L’Italia, inoltre, risulta il maggiore beneficiario del fondo di solidarietà dell’Unione con circa 2,5 miliardi di euro ottenuti, pari alla metà dell’importo totale erogato ai 28 paesi europei negli ultimi 15 anni.
Che cosa si dovrebbe fare?
Dobbiamo lavorare insieme, pubblico e privato, per mettere in sicurezza il patrimonio residenziale e industriale. È un progetto ambizioso, di portata generazionale. L’Ance ha infatti stimato in circa 105 miliardi di euro il costo complessivo per interventi strutturali di miglioramento sismico nelle zone a rischio. La tutela della collettività è una questione prioritaria per il nostro Paese e anche per il nostro sistema produttivo. Un’azienda che opera in un territorio fragile è fragile essa stessa e, viceversa, un’azienda fragile dal punto di vista della gestione dei rischi impatta negativamente sul suo territorio. E non si intendono solo i rischi industriali che hanno un impatto sulla sicurezza del territorio, ma si pensa anche all’impatto sull’economia locale e di filiera di una azienda che, subendo un’emergenza, si ferma.
Quale il ruolo di Confindustria?
Favorire nel Paese il passaggio dalla cultura dell’emergenza a quello della resilienza. Con questo obiettivo, nel documento presentato alle Assise Generali di Verona, Piccola Industria Confindustria ha proposto un Piano Nazionale per la Resilienza, in linea con i valori e gli obiettivi espressi nel Protocollo d’intesa firmato con la Protezione Civile. Un’azione che rappresenta la naturale prosecuzione del lavoro svolto nell’ambito del Programma Gestione Emergenze, in occasione del sisma del Centro Italia. Per le sue finalità e modalità operative, che fanno leva sul forte legame tra imprese e territorio e rappresentano un esempio virtuoso di collaborazione pubblico-privato, il PGE ha ricevuto apprezzamento anche da parte dell’Onu, in occasione dell’Open Forum di Istanbul dello scorso anno, pro- mosso dall’European Forum for Disaster Risk Reduction. La partnership tra Confindustria e Protezione Civile prosegue, inoltre, con un ciclo di eventi sul territorio nazionale che può fregiarsi del patrocinio della Commissione Europea. Il primo di questi incontri si è svolto a Parma il 14 maggio e altri ne seguiranno.
Che cosa propone esattamente il piano?
Mettere in campo un insieme di interventi strutturali che mirino a potenziare le infrastrutture esistenti e a incentivare la messa in sicurezza degli edifici industriali. In particolare, il piano propone l’introduzione di un sistema di agevolazioni per gli investimenti in resilienza attraverso accordi con il Governo, i sistemi assicurativo e bancario ed eventuali altri stakeholder come Fondimpresa, Ance e ordini professionali.
Quali sono le linee strategiche?
Lavoreremo su tre fronti: il primo consiste nello stimolare il Governo affinché preveda meccanismi di deducibilità fiscale/ incentivi, come quelli predisposti per Industria 4.0, che sicuramente darebbero spinta agli investimenti per la messa in sicurezza e innescherebbero un circolo virtuoso. Un’azione di questo tipo, ben studiata, ridurrebbe il costo per il Sistema Paese, favorendo interventi ex-ante in prevenzione e limitando gli interventi e i risarcimenti ex-post. In secondo luogo, ci faremo promotori di un grande accordo con il sistema assicurativo, al fine di ridurre l’impatto dei premi, oltremodo onerosi specialmente nelle zone colpite da calamità, grazie anche all’allargamento della platea delle imprese coinvolte. Gli investimenti in resilienza devono essere riconosciuti come strumento di tutela del patrimonio aziendale nella valutazione del premio assicurativo, prevedendo delle riduzioni proporzionali dei costi polizza. E, come ultimo punto, chiederemo alle banche di riconoscere nel merito creditizio gli investimenti in resilienza e inserire nel bilancio la valutazione sulla sicurezza degli immobili nei confronti dei grandi rischi quale “asset intangibile”.