di Andrea Montanino, Direttore Centro Studi Confindustria e Massimo Rodà, economista Centro Studi Confindustria
Siamo fuori dal tunnel della crisi? E abbiamo ricominciato a crescere come sappiamo e dobbiamo fare? Sicuramente la crescita italiana si è gradualmente rafforzata negli ultimi anni, dopo la profonda caduta registrata durante la crisi. Dal 2014 al 2017 il Pil è aumentato del 3,5% cumulato, raggiungendo nel 2017 un ritmo dell’1,5%, in accelerazione dallo 0,9% medio nei due anni precedenti. L’Italia è avanzata soprattutto agganciandosi al traino dell’espansione globale. L’export è cresciuto del 4,1% per cento, in media d’anno negli ultimi tre anni, più della domanda mondiale. Così, abbiamo riguadagnato quote di mercato. Le imprese italiane che hanno saputo cogliere le opportunità e che hanno un prodotto valido e attrattivo, hanno ottenuto grandi vantaggi, nonostante il rafforzamento dell’euro.
Un significativo supporto è venuto anche dal robusto incremento degli investimenti, sostenuti dalle misure governative a favore degli acquisti di beni strumentali: secondo il governo, si è trattato di un sostegno pari a dieci miliardi solo nell’ambito del piano Industria 4.0, con un impatto diretto e indiretto più robusto. Nel puzzle della crescita sono invece mancati i consumi privati. L’andamento della spesa delle famiglie è stato modesto ed è avvenuto sacrificando il risparmio, essendo aumentato solo marginalmente il reddito disponibile reale. La buona performance dell’Italia negli ultimi anni ha ridotto parzialmente il divario di crescita con il resto dell’Euroarea, seppure rispetto ai principali competitor europei il nostro Paese continui ad avanzare a un passo più lento. Le prospettive sono positive ma si potrebbero materializzare alcuni rischi, interni e internazionali, che potrebbero frenare l’espansione dell’economia italiana.
Le previsioni di Confindustria e dei principali istituti internazionali (Fmi, Commissione europea, Ocse) puntano a un’ulteriore crescita del Pil sia quest’anno, a un ritmo vicino a quello registrato nel 2017, sia nel prossimo, a un passo di poco inferiore. Quindi sì, siamo fuori dal tunnel della crisi, ma non possiamo dirci ancora soddisfatti. L’Italia può e deve crescere di più, per assorbire l’ampia disoccupazione giovanile e avere risorse da ridistribuire in modo da ridurre l’ampia fascia di poveri che la crisi ci ha lasciato. Nel primo trimestre il Pil è aumentato dello 0,3% e il 2018 registra una variazione acquisita, cioè quella che si avrebbe se il Pil ristagnasse dal secondo trimestre, di +0,8%. ma la crescita dovrebbe continuare anche nei prossimi trimestri.
Gli indicatori congiunturali, pur in rallentamento a causa di un contesto politico interno in stallo e dei tanti rischi geopolitici che affollano il panorama internazionale, sono su valori storicamente elevati. inoltre, la congiuntura internazionale si mantiene, fino a oggi, su un sentiero espansivo e questo è fondamentale per l’Italia, che è particolarmente esposta alle fluttuazioni della domanda estera. Guardando oltre il breve periodo, però, è possibile intravedere alcuni fattori di rischio per la crescita. Si tratta di cause di origine interna e internazionale. Tra le prime vi è la fine degli incentivi sugli acquisti di beni strumentali che, benché graduale (dovrebbero terminare a fine 2019), avrà comunque un impatto negativo sul Pil italiano.
L’attivazione automatica delle clausole di salvaguardia, inoltre, se non corretta da un intervento legislativo, porterà un aumento dell’Iva e delle accise a partire dal 1° gennaio 2019 che, riducendo la capacità di spesa di famiglie e imprese, impatterà negativamente sulla crescita tramite un calo di consumi e investimenti. a meno che non si accompagni, almeno in parte, da una riduzione di altre imposte. Tra i fattori di rischio internazionali vi sono innanzitutto le conseguenze del rientro dalle politiche monetarie ultraespansive in Europa, con la graduale chiusura del Quantitative easing, previsto concludersi entro quest’anno, e la risalita dei tassi di riferimento Bce dalla seconda metà del 2019. il grado di esposizione dell’Italia è molto elevato soprattutto dal lato della finanza pubblica; inoltre, agli aumenti dei tassi d’interesse Bce si potrebbe sovrapporre, negli scenari meno favorevoli, anche l’allargamento dello spread sui titoli a medio-lungo termine, che è diminuito negli ultimi due mesi intorno a valori molto bassi. Da ultimo, la recente evoluzione del contesto internazionale, divenuto più denso di incognite e vulnerabile a diversi fattori di incertezza, presenta condizioni di rischio rilevanti a causa soprattutto della possibile instabilità dei merca- ti finanziari, conseguente alla normalizzazione delle politiche monetarie in Usa ed Europa, e dei rischi geopolitici e protezionistici legati alla nuova politica estera americana, che potrebbero portare a un significativo rallentamento del commercio mondiale.
Su questo quadro di ampie incertezze si innesta il tema della capacità degli organi di governo europeo di attuare adeguate risposte di policy nel caso di un peggioramento della congiuntura internazionale.
La questione della governance economica europea resta al momento appesa agli egoismi e alle contrapposizioni dei singoli Stati e l’Italia, senza un governo con un forte man- dato parlamentare, rischia di essere relegata in una posizione di marginalità, incapace di presentare una sua proposta. In questa delicata fase politica interna e internazionale si corre il rischio di perdere quanto di buono è stato fatto per avviare la ripresa e consolidare un percorso di crescita robusta e sostenibile.
Confindustria ha ribadito l’importanza di non smontare le riforme che hanno avuto impatti positivi sull’economia e che hanno contribuito a rassicurare i mercati. ma ha anche proposto un suo piano di legislatura: con interventi basati su modernizzazione, semplificazione ed efficienza – e mantenendo le buone riforme – si potrebbe crescere di almeno il 2% in termini reali in media d’anno per i prossimi cinque anni, creare 1,8 milioni di occupati in più e ridurre di circa 20 punti percentuali il rapporto debito/Pil.