
Il settore sta attraversando una fase complessa caratterizzata da alti e bassi, sia con riferimento all’andamento generale che alla situazione di particolari comparti. Dai risultati dell’ultima congiunturale emerge, da un lato, il dato positivo del secondo trimestre rispetto al primo con riferimento alla produzione industriale (+1% congiunturale), dall’altro lato registriamo un calo rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (-1,2% tendenziale). Inoltre, nel mese di giugno la perdita di produzione sul mese precedente è stata significativa (-3,2%), elemento questo che pur non inficiando il rialzo del secondo trimestre, lascia più di un’ombra sull’andamento del terzo trimestre, anche in considerazione del fatto che proprio a partire dal mese di luglio si è assistito ad un’ulteriore impennata del costo dell’energia che, presumibilmente, è destinato ad incidere negativamente sulla produzione industriale nel nostro settore.
Anche tra i diversi segmenti della metalmeccanica e meccatronica i segnali sono contrastanti. C’è chi ha visto aumentare la produzione, come il comparto dei computer, radio TV, strumenti medicali e di precisione (+7,4%), e quello delle macchine e apparecchi meccanici (+2,5%). C’è chi, invece, ha subìto sensibili perdite. Tra questi ultimi è molto evidente e consistente il calo della fabbricazione dei mezzi di trasporto che riguarda il settore automotive. La perdita in questo caso ha raggiunto il 3% e si tratta di un comparto che nel totale del settore pesa più del 16,4% in termini di valore aggiunto e il 10% in termini di occupati, oltre ad essere una sorta di cinghia di trasmissione verso tutti gli altri comparti, sia sotto il profilo degli investimenti che dell’evoluzione tecnologica.
ENERGIA, LE CONSEGUENZE PER LE IMPRESE
L’impatto dell’aumento dei costi energetici sulle nostre imprese è già molto pesante e rischia tra poco di essere devastante. I numeri parlano chiaro e ci restituiscono una situazione che può diventare drammatica a breve. Secondo la nostra indagine, sono state colpite il 79% delle aziende del settore e più del 60% ha rilevato una riduzione del margine operativo lordo, che, tradotto, significa perdita secca di ricchezza. Può sembrare eccessivo dirlo, ma quello che sta succedendo all’elettricità e al gas sta togliendo ossigeno al mondo produttivo, oltre ad essere un grave problema per tutti i cittadini.
MATERIE PRIME, LA CRISI NON È FINITA
Si potrebbe dire che la crisi dell’energia è stata come benzina buttata sul fuoco. Un problema nel problema che ha amplificato le difficoltà delle imprese, già molto sotto pressione per la situazione generale delle materie prime (dai costi alla reperibilità appunto). Si può ben capire cosa significhi avere ordini ma non riuscire a produrre per mancanza di materie prime, oppure rischiare di produrre di più e allo stesso tempo perdere profitti a causa della combinazione tra incremento dei costi delle materie prime e caro energia. Non è solo una congiuntura negativa, ma una pessima congiunzione di elementi negativi che, insieme, colpiscono duramente chi sostiene l’economia del Paese.
CATENE DI FORNITURA, COME STANNO CAMBIANDO
Come sempre, le imprese non sono state ferme davanti alle difficoltà emerse negli ultimi mesi. Ci sono azioni che vengono messe in campo nell’immediato, ed anche una valutazione di natura più strategica per essere in grado di gestire in futuro situazioni simili con meno rischi. Da questo punto di vista la revisione delle catene di fornitura può aiutare e portare anche a forme di nearshoring o reshoring, ma non solo. Le decisioni che molte aziende prenderanno sono destinate a basarsi anche su analisi geopolitiche. Si parla di friendshoring, individuare cioè quei paesi nei quali difficilmente potrebbero esserci condizionamenti esogeni rispetto alle normali dinamiche di mercato.
Quello che sta succedendo in Ucraina potrebbe cambiare per sempre alcuni paradigmi del commercio mondiale. Ci tengo sempre a ricordarlo, quando si parla di guerra il primo pensiero deve sempre andare alle persone, poi però si deve analizzare le conseguenze anche dal punto di vista economico. Per certi aspetti, molte cose non saranno più come prima. Non è una frase fatta, ci basiamo sui fatti. Anche nel breve si stanno affermando approcci nuovi, che sembravano far parte di vecchie pratiche del fare industria. Si investe di più sulle scorte e sul magazzino, impensabile fino a pochissimo tempo fa, essendo un fattore negativo dal punto di vista finanziario. Per semplificare il concetto, si passa dal “just in time” al “just in case”, avere cioè rimanenze in magazzino pronte all’uso o pronte alla vendita. Si mette cioè sul piatto della bilancia la diseconomia con la necessità di produrre ed evadere ordini, un equilibrio difficile da trovare.
TRANSIZIONE ECOLOGICA: OBIETTIVO RINVIATO?
La transizione ecologica non è solo un obiettivo, ma un passaggio obbligato. Gli obiettivi possono anche non essere raggiunti mentre in questo caso non è contemplato un esito diverso dal raggiungimento di una piena sostenibilità ambientale. Il punto è stabilire come e quando si arriva. Sul come penso che sia la scienza doverlo dire in maniera neutra. Occorre considerare tutte le possibilità che la tecnologia offre. Sul quando è giusto darsi tempi stretti perché si tratta di un problema che riguarda il futuro del pianeta. La transizione ecologica deve essere accompagnata da una transizione industriale che deve andare di pari passo, alla stessa velocità. Abbiamo presentato insieme al sindacato un documento sulle politiche industriali per l’automotive che si fondava proprio su questo concetto. Gestire il cambiamento e non subirlo. Servono una visione e interventi organici, non possiamo permetterci sempre di inseguire le emergenze con gli incentivi per sostenere la domanda, ad esempio. È necessario puntare sull’offerta con la ricerca e sviluppo per nuovi prodotti.
QUALI SCENARI
Le prospettive delle nostre imprese stanno peggiorando. Nell’ultimo anno abbiamo visto, trimestre dopo trimestre, un graduale ma costante peggioramento delle aspettative nelle aziende metalmeccaniche. Sono sempre di più le imprese che prevedono cali degli ordini, della produzione e anche dell’occupazione. Il saldo rimane sempre positivo considerando il numero di aziende che prevedono miglioramenti e quello delle aziende che prevedono peggioramenti, ma è sempre meno positivo rispetto ai trimestri precedenti. È una tendenza che ovviamente ci preoccupa e che va invertita. Le nostre aziende stanno reagendo al meglio ma da sole rischiano di non farcela tutte e non possiamo più permetterci di perdere capacità produttiva, sia dal punto di vista industriale che sociale.
Torno sulla necessità di una politica industriale per l’automotive, ma non solo. Il settore metalmeccanico rappresenta l’8% del Pil nazionale e il 50% dell’export italiano. La nostra manifattura è la seconda più grande di Europa, ma è fatta di piccole e medie imprese. In un contesto così complesso come quello in cui siamo, e in cui ci troveremo, non possiamo rimanere grandi se anche le nostre imprese non diventano grandi. La crescita dimensionale delle imprese deve essere uno degli elementi portanti delle politiche industriali.
(Intervento pubblicato sul numero di ottobre dell’Imprenditore)