Qui l’informalità regna sovrana, la flessibilità è una cifra stilistica e il lavoro è altamente professionale ma improntato sulla piacevolezza.
Del cibo che si vende, dei rapporti interpersonali, del senso del proprio operato. “Prima di vendere cibo buono facciamo cultura del buono – racconta Felice Cipollina, principale complice di Farinetti nella creazione di Eataly – quindi ogni persona che lavora con noi deve vivere questa piacevolezza, sentirsi parte di un progetto.
Per questo abbiamo investito nella formazione fin dal primo giorno, come componente essenziale di quella qualità che deve caratterizzare ogni dettaglio riferibile al nostro marchio”.
È questa la ricetta che in una manciata di anni ha reso possibile una crescita esponenziale e senza frontiere. Oggi i dipendenti, solo in Italia, sono 1.900. I punti vendita 29, di cui 12 all’estero, e ben presto altri 15, fino in Brasile, Corea, Canada, Russia. E il secondo negozio a New York, al One, il grattacielo che sorge sull’area del World Trade Center, è in allestimento su loro invito. In 17.000 (Roma) come in 43 metri quadri (Tokyo), gli spazi si adattano al contesto umano ma con un’identità propria molto caratterizzata: non sono solo luoghi di vendita, ma luoghi dove si pratica la conoscenza enogastronomica, rendendo i clienti consapevoli e sempre più esigenti. Anzi, è l’ambizione, protagonisti. Questo tratto, in un’offerta distributiva così ampia, contraddistingue Eataly: fare cultura degli alti cibi come presupposto del venderli.
Perché chi produce secondo qualità ha tutto da guadagnare dall’informazione diffusa. “È questa – racconta Cipollina – la grande idea di Farinetti, che si sintetizza in tre verbi: imparare, comprare, mangiare. Siamo mercanti, sì, ma con pulizia mentale: prima di vendere un prodotto, vogliamo che sia compreso e che nella gamma sterminata di possibilità ognuno possa scegliere quella che più lo soddisfa”.
Parola d’ordine, quindi: eccellenza. Del prodotto e del modo in cui viene proposto.
Per questo ogni singolo lavoratore viene pienamente coinvolto nella filosofia aziendale.
“L’obiettivo cultura era deciso e chiaro fin dall’inizio e la stessa cosa ovviamente vale per la formazione”, spiega Cipollina, ricapitolando la sua esperienza di gestione Risorse Umane in Eataly. “Naturalmente ci sono aspetti tecnici sui quali ognuno viene formato rispetto alle specificità – spiega – ma per noi quello che conta di più è la condivisione della vision”. Infatti, fin dal 2007 chiunque inizia a lavorare segue un percorso formativo sui valori e l’identità.
Ma col tempo, grazie anche alle possibilità offerte da Fondimpresa (il Fondo per la formazione continua di Confindustria Cgil Cisl e Uil) è stato possibile alzare il tiro. “Siamo iscritti dal 2013, abbiamo cominciato giocherellando, abbiamo provato”. Una “prova” che in quell’anno, solo a Torino, ha realizzato 35 corsi con più di 300 partecipanti. “Abbiamo scoperto sia la validità dello strumento sia la professionalità di quelli che ce lo hanno proposto. Abbiamo trovato partner bravi”.
Eataly si avvale di tutte le diverse opportunità del Fondo, adatte alle articolate esigenze della formazione d’impresa, inclusa la possibilità di affidarsi a un supporto esterno per la progettazione e gestione delle attività. “Facciamo formazione e continueremo a farla. Farinetti ne è un grande sostenitore, all’inizio se ne occupava personalmente. Ed anche oggi, quando riunisce i dipendenti 2/3 volte l’anno per condividere risultati e nuovi obiettivi, questi incontri hanno una grande valenza formativa”.
Passo successivo, avviato nel 2014, è fornire conoscenza, sempre più approfondita, dei prodotti a tutti i lavoratori. A costo di affrontare complicati problemi organizzativi: “Da noi c’è un’intensa turnazione. Togliere anche solo un lavoratore fa saltare tutte le combinazioni”. Ma l’investimento è convinto: “Chiunque deve essere in grado di spiegare a un cliente cosa differenzia un olio dall’altro, anche se sta solo sistemando scatole sugli scaffali. Di guidarlo nella scelta, suggerire abbinamenti”.
E ci sono i corsi per chi ha il compito di portare la logica di Eataly ai lavoratori delle altre parti del mondo. “Seguiamo con nostre persone la formazione sulla vision – sottolinea Cipollina – per il resto, viene fatta da strutture del posto, dove a volte la valorizzazione delle risorse umane è più avanzata della nostra. In America se dici che non fai formazione ti sparano. Loro ce l’hanno nel dna”.
Cipollina continua a spendersi in prima persona, frequentemente, in aula, come pure Francesco Farinetti, il figlio maggiore, amministratore delegato della società, nelle sessioni formative attualmente in corso sul clima aziendale.
Altre iniziative in avviamento interpretano un fenomeno recente: il ricordo enogastronomico ha sostituito il souvenir, quindi oggi, per i turisti stranieri, Eataly è una tappa obbligata.
Così sono stati progettati corsi di inglese altamente specializzati, brevi, appena 4-8 ore, in modo da dare a chi è a più stretto contatto con i clienti strumenti per comunicare su aspetti molto specifici, allergeni inclusi.
Solo a Torino ben 135 persone sono coinvolte in questo progetto, finanziato da Fondimpresa, il cui format verrà seguito in altri punti in tutta Italia. Particolare terreno di incontro con il mondo sarà Expo 2015, dove Eataly farà ristorazione e cultura enogastronomica sul filo conduttore del vento, generatore di biodiversità.
Ma in Eataly la formazione è rivolta anche al cliente: dai dettagli delle etichettature e dell’arredamento ai corsi (sia gratuiti che a pagamento) per adulti, fino a quelli per i piccolissimi: oltre 4.000 bambini tra la terza e la quinta elementare, ogni anno, frequentano sessioni formative negli spazi didattici dei due negozi torinesi. Con la cultura del prodotto come parte integrante del fare mercato, Eataly ha ridestato negli italiani l’orgoglio per il proprio cibo e le proprie tradizioni gastronomiche. “La mia più grande soddisfazione – conclude Cipollina – è sentire le persone che portano qui degli amici che ci vengono per la prima volta, e descrivere e spiegare quello che vedono. Vuol dire che il nostro lavoro ha creato qualcosa in cui la gente si riconosce e percepisce benessere e bellezza”.