RAPPORTO PMI CONFINDUSTRIA-CERVED
L’analisi sulle Pmi realizzata da Confindustria in collaborazione con Cerved pone la crescita dimensionale delle imprese come prioritaria, sia al Nord che al Sud. Con quali strumenti possiamo sostenerla?
Come i Rapporti hanno evidenziato, nascono nuove aziende ma sono sempre troppo piccole. Si pone quindi la necessità di rinfoltire le fila delle imprese di capitali piccole e soprattutto medie. Guardiamo ai dati relativi al Mezzogiorno. Negli ultimi anni non è mancata la voglia di fare impresa: le “vere” nuove società di capitali, infatti, hanno raggiunto nel 2017 il loro record, aggiungendosi alle aziende più robuste rimaste sul mercato.
Bene, quindi, la promozione della nuova imprenditorialità, soprattutto nel Mezzogiorno, come fa ad esempio “Resto al Sud”, la nuova misura di sostegno alla nascita delle imprese da parte di giovani meridionali avviata nei primi mesi del 2018 e affidata a Invitalia. Un ottimo strumento, che rappresenta però solo il primo passo verso la giusta dimensione. Se non è, dunque, l’attitudine imprenditoriale a mancare, ciò che va fortemente sostenuta è la capacità di passare da micro a piccola impresa e da media a grande. E questo è da sempre una priorità di questa presidenza.
Ci sono misure e strumenti per sostenere la capitalizzazione e la crescita dimensionale, come i mini-bond; il direct lending delle assicurazioni e degli Oicr; il Fondo italiano d’investimento; il rafforzamento di Aim Italia; l’Ace, gli incentivi per startup e Pmi innovative; gli incentivi per favorire l’investimento dei fondi pensione in equity delle Pmi e soprattutto i Piani di risparmio a lungo termine (Pir). Tutti strumenti che possono svolgere un ruolo decisivo per favorire l’irrobustimento del tessuto produttivo.
Elemento comune, sia al Nord che al Sud, è il minore ricorso al credito bancario per finanziare gli investimenti. Come spiega questa inversione di tendenza rispetto al passato? E come rafforzarla?
L’accesso al credito bancario è meno agevole per le piccole imprese per diverse ragioni. A una minore dimensione corrisponde una maggiore rischiosità; questo, unito a una minore disponibilità di informazioni sulle piccole imprese, spinge le banche a una maggiore prudenza.
Inoltre, per prestiti di basso importo – come quelli generalmente richiesti dalle piccole società – è più alta l’incidenza dei costi fissi, da cui segue un possibile minore interesse per le banche ad approfondire l’istruttoria per valutare adeguatamente il rischio della controparte.
L’ammodernamento della cultura d’impresa resta la strada maestra. Questi lunghi anni di forte credit crunch hanno portato gli imprenditori – soprattutto al Centro-Nord, ma non solo – a sperimentare il ricorso a forme alternative di finanziamento. Le imprese devono aprirsi a nuovi strumenti da affiancare al credito bancario, penso ad esempio ai Pir o al Progetto Elite.
Su questo aspetto Confindustria sta facendo un grande lavoro, imprese e mondo della finanza devono lavorare e crescere insieme per aumentare la competitività.
La fase di deleveraging rende le Pmi più solide pronte per finanziare nuovi progetti, con un potenziale stimato in 103 miliardi per l’intero Paese. Quanta parte di questo potenziale si può trasformare effettivamente in investimenti?
Questo dipende dalle prospettive di crescita che gli imprenditori vedono per le proprie aziende, nonché dall’effettiva capacità di avere accesso alla liquidità. Che, ancora oggi, è largamente e potenzialmente disponibile sia nei canali tradizionali, grazie alla politica creditizia espansiva perseguita dalla Banca centrale europea, sia sotto forma di strumenti alternativi a disposizione del sistema imprenditoriale. Si tratta, infatti, di soluzioni accessibili soprattutto ad aziende dinamiche, strutturate, innovative e con vocazione internazionale.
Occorre prima di tutto promuovere un cambiamento culturale che porti le Pmi a comunicare adeguatamente ai propri stakeholder e ai potenziali investitori tutto il proprio potenziale e il proprio valore, ad avere al proprio interno un’adeguata formazione finanziaria e una gestione aziendale sempre più manageriale.
In un paese che conferma la sua vocazione industriale, dopo il piano Industria 4.0 qual è adesso il passo successivo?
Sono convinto che Industria 4.0 costituisca una grande occasione di sviluppo, che deve essere comunicata e diffusa capillarmente attraverso tutto il corpo imprenditoriale. Diffondendo l’uso delle tecnologie digitali, raccontando le straordinarie opportunità di miglioramento della competitività che l’integrazione tra prodotto e servizio può offrire grazie all’adeguato sfruttamento degli immensi giacimenti di Big data, che consentono una capacità di risposta sempre più mirata all’esigenza del mercato.
Per questo è fondamentale consolidare e attivare una rete efficiente di Digital innovation hub, per favorire la maturazione tecnologica delle imprese e orientare la ricerca dell’innovazione digitale necessaria a ciascuna di esse, nonché per sostenere le imprese a investire in produzioni ad alto valore aggiunto.
Le significative possibilità di ampliamento dell’indebitamento in condizioni di sicurezza stanno proprio a significare che le Pmi industriali, soprattutto quelle caratterizzate da una elevata potenzialità di automazione, hanno tutte le carte in regola per uno straordinario balzo in avanti in questa direzione.
L’upgrade tecnologico deve essere affiancato da una azione altrettanto efficace per ridurre le diseconomie esterne alle imprese.
Una delle questioni chiave resta come spendiamo i Fondi europei.
La cornice europea si conferma decisiva per lo sviluppo del Paese e in particolar modo per le imprese meridionali. Sono tre gli ambiti di intervento: il sostegno agli investimenti privati, la ripresa degli investimenti pubblici, la creazione di un contesto stabilmente competitivo. E la politica in grado di favorire contemporaneamente questi tre elementi chiave c’è ed è la politica di coesione, comunitaria e nazionale, ovvero la principale strategia di investimento dell’Unione europea.
Gli strumenti nazionali ed europei, “ordinari” e “aggiuntivi”, possono dare un sostegno concreto alla fase di crescita in atto di un sistema imprenditoriale che è contraddistinto da un potenziale competitivo enorme, soprattutto con riferimento al suo cuore industriale.
Dobbiamo utilizzare bene le risorse, che sono la linfa per la competitività delle imprese e dei territori. È necessaria una capacità amministrativa adeguata: è un fattore imprescindibile per un Paese industriale come il nostro e con enormi spazi potenziali di crescita.