Le piccole e medie imprese italiane sono chiamate ad affrontare sfide sempre più impegnative. Per aiutarle Piccola Industria ha istituito il Comitato Scientifico Consultivo, un panel di esperti che avrà il compito di mettere a fuoco il contesto competitivo dei prossimi anni e di individuare soluzioni che possono rafforzare le imprese. Da qui nasce “Orizzonte 2030”, un ciclo di eventi realizzati in collaborazione con il Centro Studi Confindustria e nella cornice dei “Seminari de L’Imprenditore”.
Il primo incontro si è svolto a Catanzaro il 10 febbraio.
A seguire le sintesi dei contributi di Donato Iacobucci e Federico Visconti, intervenuti sul tema della nuova leadership dell’imprenditore. I paper integrali sono disponibili sul sito localhost/imprenditore.
Nuovi ruoli per gli imprenditori
Sintesi del contributo di Donato Iacobucci, Università Politecnica delle Marche
Cambiano i prodotti, cambiano le imprese. È forse il caso di rivedere anche il ruolo dell’imprenditore? La riflessione di Donato Iacobucci, docente di economia applicata all’Università Politecnica delle Marche, muove dall’analisi dei principali mutamenti avvenuti negli ultimi anni per approdare a una nuova definizione di imprenditore e soprattutto dell’approccio che deve coltivare sia rispetto all’azienda, sia rispetto alle persone con le quali lavora.
A cambiare è stato innanzi tutto il prodotto, che oggi presenta una componente di servizio sempre più rilevante. E mentre in passato a contare erano principalmente asset materiali, quali la tecnologia inclusa nei macchinari e il know how incorporato nell’esperienza, adesso si aggiungono fattori immateriali quali il capitale umano, quello relazionale e quello intellettuale.
Questo naturalmente ha comportato e comporta tuttora modifiche nell’assetto dell’impresa, sia in tema di innovazione, che di finanza o di governance. Cominciando dalla prima, Iacobucci rileva una maggiore interazione con il mondo della ricerca, dimostrata dall’accresciuto dinamismo delle università nelle attività di trasferimento tecnologico, dal maggiore impegno delle regioni nel sostenere le attività di ricerca e innovazione, così come dalle numerose iniziative per stimolare le relazioni fra imprese e università.
L’esperienza dei cluster tecnologici, sia nazionali che locali, si lega – fa notare l’autore – alla nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020, che fa del concetto di “smart specialization” la strategia portante. In cosa consiste? Nell’individuare gli ambiti tecnologici in cui la regione può esplicare il maggiore potenziale innovativo in accordo e sfruttando al meglio le contaminazioni con gli ambiti produttivi presenti. Ne consegue, sottolinea Iacobucci, che la diversità premia sulla specializzazione: dagli spillover di conoscenza intersettoriali, infatti, nascono innovazioni radicali, da quelli infrasettoriali nasce l’innovazione incrementale.
La sfida è tutta per le pmi, ossatura portante delle nostre filiere produttive, perché è a loro che si chiede di innovare, sviluppando nuova conoscenza e integrandola al tempo stesso nell’impresa.
Per quanto riguarda la finanza, è nota l’eccessiva dipendenza delle pmi italiane dal credito bancario, per smorzare la quale il legislatore negli ultimi anni ha risposto con diversi provvedimenti normativi: Ace, minibond, Fondo Italiano d’Investimento, progetto Elite, creazione dell’Aim Italia. Piuttosto che alternativi al credito bancario, Iacobucci preferisce definirli “complementari”, notando però come il numero di coloro che vi ricorrono sia ancora oggi modesto rispetto alla platea potenzialmente interessata. Adottarli non è semplice perché il loro utilizzo non rappresenta una pura sostituzione, ma “impone di ripensare le strategie di sviluppo e i modelli di governance della propria impresa”.
A proposito di governance, ad esempio, il docente sottolinea che a una presenza di investitori in private equity e private debt corrispondono “standard di trasparenza e comunicazione molto più elevati di quelli richiesti tradizionalmente dagli intermediari bancari”. Molto importante, inoltre, è la modalità scelta dall’imprenditore per avviare nuovi progetti o ampliare quelli esistenti. L’espansione per gruppo secondo Iacobucci è la più efficace – e non a caso viene preferita dalla maggior parte degli imprenditori di successo – in quanto consente di “attrarre, trattenere e motivare alcune persone chiave e di sviluppare specializzazione e complementarietà fra risorse così da rendere le stesse non facilmente imitabili”.
Di fronte a queste sollecitazioni anche l’imprenditore deve ripensare il proprio ruolo e renderlo coerente con le nuove configurazioni d’impresa. Piuttosto che a un proprietario-manager, quale è stato fino ad oggi nella maggior parte delle pmi, secondo Iacobucci dovrà assomigliare sempre di più a una sorta di “orchestratore”.
Compito principale sarà la scelta delle risorse chiave stabilendo le modalità per acquisirle e organizzarle al meglio dentro l’azienda. “Nel caso del capitale umano – spiega l’autore – questo può significare non solo individuare e assumere le persone con le competenze adatte, ma anche stabilire in che modo tali risorse possano essere motivate affinché producano il massimo sforzo in funzione degli obiettivi aziendali”. Attribuire loro quote di proprietà del business e ruoli stimolanti nella gestione sono opzioni da considerare. In questo senso, pur mantenendo un ruolo guida, l’imprenditore “orchestratore” dovrà imparare a percepirsi come parte di un team imprenditoriale complesso.
Infine, poiché acquisire e migliorare il patrimonio di conoscenza dell’impresa sarà sempre più rilevante, diventa fondamentale entrare in contatto con altre organizzazioni, quali enti di ricerca o semplicemente differenti aziende. Serve, in poche parole, “absorptive capacity”, ovvero “la capacità di assorbire ed elaborare la nuova conoscenza per adattarla agli obiettivi dell’impresa”. Un traguardo stimolante, che in tempi di Industria 4.0 potrebbe riservare grandi opportunità alle pmi italiane.
Mai smettere di imparare
Sintesi del contributo di Federico Visconti, Rettore Liuc Università Carlo Cattaneo
Inafferrabile, complesso, certamente indispensabile. Il mestiere dell’imprenditore sfugge a definizioni troppo rigide, ma forse mai come oggi – dopo anni di crisi che hanno inciso profondamente sul nostro sistema produttivo – occorre riflettere sulle qualità necessarie per esercitarlo con successo. Non solo, bisogna sapere “leggere” le opportunità e gli stimoli offerti dalla nuova stagione, di cui Industria 4.0 costituisce certamente uno dei più interessanti, accettando al tempo stesso di mettere in discussione gli assetti attuali, sia in termini di organizzazione aziendale che di modo di pensare.
Federico Visconti, rettore dell’Università Carlo Cattaneo di Castellanza, affronta il tema incoraggiando prima di tutto gli imprenditori a raccogliere la sfida. “Bisogna investire risorse, sviluppare competenze, innovare nei processi, inventarsi risposte originali per mercati in continuo mutamento”, suggerisce l’autore. Una “sfida alta e di sistema” dalla quale non sono esclusi fattori di stress, che Visconti distingue sostanzialmente in due tipi: lo stress da visione di sviluppo e lo stress da adeguamento della struttura.
Nel primo caso l’imprenditore deve elaborare una sintesi a partire da tre esigenze: ridefinire il cliente target, ridefinire il sistema di prodotto offerto, ridefinire la struttura dedicata. L’ordinario di strategia aziendale sottolinea, infatti, che “il successo è frutto della coerenza, in quanto innovare significativamente in un elemento impone di intervenire sugli altri”. E questa sintesi deve innestarsi all’interno di una prospettiva che, ad oggi, appare di difficile definizione. Ad esempio, a proposito di Industria 4.0, affermare che “i modelli di prototipazione e di produzione stanno evolvendo” o che la disponibilità di dati e la loro elaborazione stanno modificando processi e filiere, secondo Visconti non basta; bisogna invece approfondire l’impatto che Industria 4.0 avrà sulla filiera specifica, sul settore in esame, ma soprattutto sull’impresa di cui ci si occupa.
Il secondo tipo di stress deriva da tre sollecitazioni simultanee alle quali l’imprenditore è sottoposto. Premesso che le aziende ormai lavorano in una logica di learning by doing, egli si trova innanzi tutto a dover mettere in discussione la struttura esistente. In secondo luogo, può incontrare difficoltà nell’identificare le nuove professionalità necessarie allo sviluppo dell’azienda: “Un perito già formato, un apprendista o un ingegnere di grande esperienza?”. Quand’anche il dubbio venisse sciolto, la terza sollecitazione è “selezionare le persone e creare le condizioni organizzative affinché generino valore”. Una strada difficile perché come ricorda Visconti “esalta alcuni e ferisce altri, motiva alcuni e deprime altri”.
Di fronte a tante complessità come deve comportarsi l’imprenditore? L’immagine alla quale l’autore ricorre, ispirandosi e citando il lavoro dell’economista Claudio Demattè, è quella del direttore d’orchestra, metafora efficace e a suo avviso duratura anche guardando all’orizzonte del 2030.
Un direttore d’orchestra al quale non mancherà certamente l’ambizione di “salire sul treno della quarta rivoluzione industriale”, per affrontare la quale accetterà, tra le molte sfide, anche quella della dimensione aziendale. Uno sforzo è richiesto anche rispetto all’evoluzione del modello famiglia-impresa. Occorre prendere le distanze, una volta per tutte, dal familismo e lavorare alla crescita delle giovani generazioni e quindi anche dei propri figli.
Come giustamente nota il docente, salvo casi di individui particolarmente inclini – o viceversa distanti – rispetto al rischio e alla leadership, “la stragrande maggioranza dei giovani è un libro bianco sul quale, a seconda di una serie di condizioni, sarà scritta o non scritta, una storia imprenditoriale. (…) I giovani imprenditori sono il frutto di un lavoro paziente, di cadute e di risalite, di sofferenze e di soddisfazioni”.
A completare, infine, l’insieme delle sfide vi è quella relativa al capitale d’impresa, nella quale oltre alla consapevolezza che le risorse proprie possono rivelarsi insufficienti, va aggiunta la disponibilità a valutare forme di finanziamento alternative. I fondi di private equity sono solo un esempio, che potrebbe immettere nuova linfa migliorando il processo decisionale e semplificando, ove necessario, la compagine proprietaria.
Tutte queste sollecitazioni stimoleranno inoltre le imprese italiane, specialmente le piccole e medie, a lavorare sempre di più in filiera. Una modalità, spiega Visconti, che significherà per molte pmi “investire, migliorare gli standard di prodotto/servizio, avviare progetti di ricerca in comune” e ciò al fine di tenere il passo delle imprese capofila. “La strada della collaborazione è obbligata – sottolinea ancora l’autore – e gli imprenditori del futuro dovranno attrezzarsi per percorrerla”. Mai come oggi, pertanto, in ambito accademico diventa urgente lavorare perché si affermi e diffonda una solida cultura di economia aziendale e di management. Il tutto nella consapevolezza che nessun sapere sarà mai definitivo e che la chiave per affrontare il futuro è “entrare in una prospettiva di lifelong learning”.