“Siamo davvero capaci di interpretare il nostro tempo? Abbiamo realmente compreso i cambiamenti che attraversano l’industria? “E, ancora, stiamo facendo tutto il necessario per accompagnare gli imprenditori verso il nuovo modello di impresa che verrà?”. Comincia così il ragionamento di Alberto Baban, confermato lo scorso novembre presidente di Piccola Industria Confindustria. La sua è una riflessione che mescola analisi e senso di responsabilità per il ruolo ricoperto e che ai bilanci – “parlano del passato e rischiano di essere autoreferenziali” – preferisce allungare lo sguardo al futuro più immediato.
Di cosa è preoccupato maggiormente?
A nostro avviso c’è un’asimmetria tra l’avanzare della quarta rivoluzione industriale e la consapevolezza dell’impatto che produrrà – e per molti versi già produce – all’interno delle fabbriche. Le tecnologie relative all’internet of things, i big data, il cloud computing, i dispositivi wearable (indossabili, ndr) e l’additive manufacturing della stampa 3D stanno modificando il manifatturiero, e in particolare quella parte che, per il tipo di prodotto che fa, sposa più da vicino l’industria dei servizi. Seguendo questa logica la distinzione tradizionale manifatturiero versus servizi è destinata a farsi molto più sfumata. Come lo definiremo? Manifatturiero avanzato, manifattura digitale? Noi crediamo sia molto di più ed è difficile fare una previsione.
Qual è lo stato di salute delle piccole e medie imprese italiane? Sono pronte a questo scenario?
Sono molto brave nell’esprimere il “saper fare” e questo non è una novità. I nostri imprenditori sono da sempre abituati a ricercare il “bello e ben fatto”. È una tendenza trasversale a tutti i settori e che non riguarda soltanto la meccanica, l’alimentare, la moda, i più conosciuti del made in Italy. Tuttavia, è indispensabile avere coscienza del fatto che i tempi cambiano. Le faccio un esempio: il turismo è il settore che più fa leva sulla bellezza paesaggistica, dell’arte e della cultura italiana, ma ad oggi la “catena alberghiera” che più sfrutta il turismo non è italiana e non è nemmeno proprietaria di immobili, ma si chiama Airbnb. La società americana, infatti, ha introdotto un modello innovativo totalmente basato sulla disintermediazione, che in primo luogo ha mandato in corto circuito nella nostro pensiero l’idea secondo la quale per fare l’albergatore occorre possedere un albergo. Mettendo in contatto domanda e offerta attraverso internet, è così aumentata in modo esponenziale la disponibilità di strutture ricettive che però in termini tecnici non lo sono. Quale dovrà essere allora, da imprenditori, la nostra risposta, in questo come in altri settori? Prima di tutto, non andare in difesa.
Cioè?
Affermare che è la tradizione – o solo la tradizione – che vince ha un sapore conservatore. Noi crediamo, invece che il vero asset dell’imprenditoria italiana sia l’originalità e in virtù di questo dobbiamo raccontare la nostra capacità di creare valore aggiunto.
Dunque non dobbiamo dire “lo sappiamo fare solo noi” perché verremmo smentiti immediatamente, ma al contrario affermare “lo sappiamo fare meglio”.
Pmi e digitalizzazione però non sembrano ancora così vicine fra loro. Un recente studio di Unioncamere riporta, ad esempio, che solo il 5,1% delle pmi usa l’e-commerce e che il 40% degli imprenditori pensa che Internet non serva alla propria attività. Come si cambia questa mentalità?
Non formulerei un giudizio solo a partire dalle statistiche, specie in questo campo che potrebbe registrare rapide evoluzioni nel giro di pochissimi anni. Semmai mi soffermerei sull’evoluzione del ruolo di Piccola Industria – e di Confindustria in generale – che sempre di più avrà il dovere di informare e formare gli imprenditori affinché migliorino la loro sensibilità verso le nuove tecnologie legate alla quarta rivoluzione industriale.
Non dobbiamo temere la complessità che deriva dall’innesto di nuove funzioni all’interno dell’azienda, ma cogliere il ruolo di facilitatore che ha la digitalizzazione, come per esempio nel caso dell’e-commerce. In quanto italiani poi dovremmo essere abbastanza strutturati, oserei dire, perché il fatto di essere un paese scarsamente competitivo a livello di sistema, ha reso imprescindibile rendere le nostre imprese altamente competitive se si vuole restare sul mercato.
Sono cambiati e cambieranno ancora i rapporti interni aziendali?
Assolutamente sì. Crediamo che l’antagonismo fra datore di lavoro e dipendente appartenga a un momento storico concluso. Siamo all’inizio, invece, di una fase che esalterà al massimo la collaborazione fra le persone e nella quale l’imprenditore sarà il primo a comprendere la necessità di portare in azienda i profili professionali migliori. Più che in passato, forse, le tecnologie della quarta rivoluzione industriale – basti pensare alle interfacce uomo/macchina (advanced human machine interface, ndr) – mettono al centro il capitale umano e sempre di più lo valorizzeranno. E in quest’ottica la formazione diventerà una costante della propria carriera lavorativa.
A proposito di formazione, Miur e Confindustria hanno da poco firmato un protocollo sull’alternanza scuola-lavoro, al quale non poco ha contribuito anche il percorso svolto da Piccola Industria sensibilizzando gli imprenditori, anche attraverso iniziative come il Pmi Day. Un tema importante, dunque, per i piccoli?
Crediamo moltissimo in questo progetto perché potremo raccontare il mondo del lavoro in modo differente. Alla base c’è un po’ quello che gli americani chiamerebbero “give back”, ovvero il concetto di restituire alla società parte della ricchezza – in questo caso specifico del sapere – che l’imprenditore ha potuto accumulare nel corso della sua vita professionale grazie al supporto della società stessa.
Rispetto al passato viene esaltata la sinergia tra le due fasi: non più una staffetta – prima la scuola, poi il lavoro – ma per l’appunto un’alternanza, una coesistenza che permetterà all’imprenditore stesso di farsi “contaminare”. I giovani infatti, se non altro per questioni anagrafiche, possono essere migliori interpreti di un mercato che cambia così velocemente.
In tema di innovazione Piccola Industria si è spesa molto per il riconoscimento di una nuova tipologia di imprese, le “Pmi innovative”. Quali i prossimi obiettivi?
Far conoscere ancora di più quest’opportunità per portare allo scoperto questa platea, che in Italia esiste, è numerosa ed ha grandi chance di crescita. Solleciteremo il governo a mettere a punto degli strumenti di sostegno che consentano loro di accentuare il ruolo di imprese leader “contaminando” le altre. Ma naturalmente la nostra azione non si fermerà solo a questo.
Ovvero?
Manterremo alta l’attenzione sulle questioni che riguardano la quotidianità delle aziende, lavorando ad esempio sul tema dell’accesso al credito e di una finanza sempre più a misura di pmi. Vogliamo, inoltre, essere presenti come Piccola Industria nella riflessione che riguarda la nuova disciplina sui contratti di appalto e le centrali d’acquisto e imprimere un’accelerazione anche sul tema della semplificazione.
La riforma della Pa è una delle battaglie storiche di Confindustria e per questo intendiamo seguire l’applicazione della riforma Madia, che rappresenta un passo in avanti e dimostra la volontà di aggredire uno dei nodi storici del paese. Nel biennio appena concluso come Piccola Industria abbiamo per esempio portato all’attenzione delle istituzioni europee il tema della lean organization come possibile metodo da applicare alla Pa. Più in generale crediamo sia importante restare nell’alveo del riformismo che si è avviato con il Jobs Act e che dobbiamo estendere su più fronti cominciando dalla fiscalità, diventata davvero oppressiva per le imprese. Segnali di attenzione ci sono. Pensiamo al superammortamento introdotto con la legge di stabilità del 2016, che rientra nel pacchetto di misure per rilanciare gli investimenti e l’occupazione. Un cenno a parte merita di certo l’Expo, appuntamento dal quale abbiamo tratto il massimo non solo come momento di promozione delle eccellenze, ma anche di vera e propria “contaminazione del pensiero” su tanti temi a noi cari, proprio in occasione degli eventi organizzati da Piccola Industria.
E come sarà la Piccola Industria del 2016?
Ancora più aperta e presente sui territori per ascoltare le esigenze degli imprenditori, andando a trovarli in fabbrica, “a casa loro”.
Vogliamo promuovere nuovi incontri e rafforzare appuntamenti come il Pmi Day, un’iniziativa apprezzata e indovinata come io stesso ho avuto modo di riscontrare partecipando a novembre all’incontro di Bari e che quest’anno ha registrato a livello nazionale ben 34mila presenze.
Saremo, inoltre, ancora più presenti a Bruxelles – d’altronde l’Europa è la nostra “casa” ormai – ed è nostra intenzione rafforzare il dialogo con le rappresentanze di Piccola Industria all’estero per maturare una visione d’impresa che sia veramente consapevole del proprio tempo. Infine, sempre a questo scopo, vogliamo cogliere l’opportunità offerta dall’istituzione del Comitato scientifico consultivo introdotto dal nuovo regolamento di Piccola Industria, che ci consentirà di ospitare professionisti ed accademici di rilievo.
Con loro e con l’apertura dei Consigli centrali a rappresentanti dell’imprenditoria immigrata e delle startup vogliamo rendere Piccola Industria la voce più autentica delle piccole e medie imprese del paese.