Alberto Prunetti (in foto) è nato a Piombino nel 1973 ed è l’autore di Amianto. Una storia operaia. Traduttore e redattore, ha vissuto in Inghilterra lavorando come cleaner, pizza chef e kitchen assistant. Per Laterza ha pubblicato 108 metri. The new working class hero, opera finalista del Premo Biella Letteratura e Industria 2019. Le edizioni Scribe di Londra ne annunciano imminente la traduzione in inglese con il nuovo titolo di Down and out in England and Italy. Con Nel girone dei bestemmiatori. Una commedia operaia, pubblicato dalla Laterza conclude la sua trilogia dedicata al mondo del lavoro.
Quale situazione, riflessione o esperienza l’ha avviata a raccontare testimonianze e conflitti del mondo del lavoro?
Tutto è cominciato con la morte di mio padre, un metalmeccanico, e con il tentativo di vedere riconosciuta in tribunale la sua esposizione professionale all’amianto. Ho pensato però che fosse sbagliato raccontare la sua vita in toni vittimistici. “Il mi babbo” era una persona piena di vita e di umorismo e andava raccontato in maniera diversa dai toni condiscendenti e dal pietismo con cui spesso ci si rivolge alle vittime.
Quindi ha scelto un punto di vista diverso da quello che caratterizza e che ha da sempre caratterizzato la narrazione sull’universo del lavoro e della working class?
Io apprezzo molto il filone della letteratura industriale italiana degli anni Sessanta, ma credo che alcuni di quegli autori conoscessero meglio il lavoro che i lavoratori. Ossia, con dovute eccezioni, erano più bravi a raccontare la fabbrica come meccanismo che le soggettività vive dei lavoratori. Nei loro racconti c’è il tempo del lavoro, ma non trovo adeguatamente rappresentato il tempo vivo della famiglia, dei circuiti di aggregazione politici, del calcio, del tempo libero, delle discussioni al bar. La vita in fabbrica era spesso triste. Perché i nostri vecchi non erano tristi? Perché andavano al bar, allo stadio, al circolino Arci, alle bocce, a ballare, a discutere in piazza: insomma, perché avevano una vita vera al di fuori della catena di montaggio. Questo momento soggettivo non è stato spesso colto dagli intellettuali che parlavano nei loro romanzi di vite operaie. E si sono persi il più bello.
Nel girone dei bestemmiatori conclude la trilogia iniziata con Amianto, storia di un padre e della sua morte prematura causata dalla situazione avversa in cui doveva lavorare, e del figlio che da ragazzo assiste al finale lento e doloroso del padre,. Una trilogia proseguita con 108 metri. The new working class hero, storia del figlio, ora laureato, ma costretto a svolgere lavori sottopagati e di bassa manovalanza in Inghilterra. Questo terzo libro è un dialogo con la figlia partendo dal vissuto e rivisitando l’inferno di Dante in chiave umoristica e non moralistica. La trilogia si conclude in un universo immaginario e in una dimensione allegorica. Perché questa scelta?
Forse perché ero stanco del realismo. C’è la convinzione, abbastanza stereotipa, che le storie dei lavoratori siano obbligate a seguire le forme del realismo. E che in fondo i lavoratori debbano sempre rimuginare le proprie storie, senza trascenderle mai. Che le persone comuni debbano usare un linguaggio denotativo, mentre gli intellettuali di classe media possano inventarsi labirinti, sperimentare le forme del romanzo, usare allegorie. In realtà, ho sempre pensato che anche noi “commoner” abbiamo tutto il diritto di fare in narrativa quel che facciamo nella realtà: ci inventiamo castelli in aria, li abbattiamo, usiamo l’umorismo per difenderci dalle ferite della vita di tutti i giorni.
Perché allora non fare lo stesso con la narrativa? Nella mia trilogia working class si parte quindi con l’inchiesta e il realismo (Amianto); si continua poi in 108 metri con il romanzo sociale alla maniera inglese, innervato però già da una dimensione allegorica, come nell’evocazione del fantasma di Margaret Thatcher, e da una forte propensione all’esagerazione grottesca e caricaturale; per concludere Nel girone dei bestemmiatori con dei racconti che rimbalzano tra una dimensione terrena e un piano ipogeo, fantasmagorico e letterario, pieno di reminiscenze dalla Commedia e dall’Eneide.
(Articolo pubblicato nell’ambito della collaborazione con il “Premio Biella – Letteratura e Industria”)