
In ogni epoca e in ogni tempo si sono raccontate storie. Prima le storie erano orali. Poi le storie sono diventate scritte. Oggi le storie sono omnicanale. E la narrazione permea ogni aspetto delle nostre esistenze. Tanto da diventare parte cospicua della creazione dei prodotti di consumo e parte del processo di generazione del valore.
Per questo motivo come Storyfactory e insieme con P&Co. (entrambe società italiane di consulenza strategica e comunicazione integrata, ndr) abbiamo svolto tra il 2022 e il 2023 una ricerca mirata dal titolo “Storytelling Culture” per approfondire temi, metodi, strumenti e risultati dell’uso dello storytelling nelle imprese.

ANDREA FONTANA
La ricerca è stata organizzata e condotta su un campione di 32 grandi aziende italiane e multinazionali ed è stata presentata alla Luiss, a Roma, il 17 marzo in ambito di un evento organizzato dall’Osservatorio Brand Storytelling dell’ateneo. È stato svolto un ascolto a 360 gradi con interviste semi-strutturate a direttori e responsabili di diverse funzioni aziendali, come: comunicazione, marketing, risorse umane, branding, public affairs, social responsibility, media relations. Il primo risultato? Tutti, unanimemente, hanno dichiarato che esiste un’urgenza di storie emotive e coinvolgenti in azienda. Ma per fare questo bisogna essere preparati e organizzati.
LO STORYTELLING PER EMOZIONARE E COINVOLGERE
Tutte le funzioni e aziende intervistate hanno infatti ribadito che fare narrazione oggi significa soprattutto emozionare il pubblico di riferimento, interno o esterno che sia. Sapendo trasformare contenuti freddi in storie personali ispiranti. Ma per fare questo bisogna parlare di temi caldi e rilevanti per le audience e attrezzarsi con competenze mirate.
Questo ci porta a dire che non sempre si vuole o si può fare storytelling con efficacia perché bisogna essere pronti a parlare di problemi veri portando soluzioni, prendere posizioni su tematiche sociali “calde” e organizzarsi con abilità specifiche per gestire le diverse piattaforme narrative.
D’altronde, visto che viviamo in un content continuum dove siamo sottoposti a un costante “assedio” testuale e visivo all’interno di un’economia del simbolico dove contenuti di tutti i tipi competono tra di loro, non è più solo la qualità “oggettiva” che fa la differenza, ma anche e soprattutto il racconto che si riesce a costruire intorno a:
- sé stessi (personal branding);
- la propria impresa (corporate & brand storytelling);
- i propri prodotti e/o servizi (product/service story).
QUALE RACCONTO SERVE
In questa competizione testuale, visiva e narrativa dalla ricerca è emerso che serve una personalizzazione spinta dei racconti (60%). La ricerca dimostra infatti che non si torna indietro dallo storytelling, nel senso che ormai è una competenza richiesta e in uso che ha bisogno di coerenza, vicinanza alla legacy dell’azienda, proof point, qualità dei contenuti e scelta mirata delle piattaforme di narrazione.
Quindi, una abilità individuale e organizzativa che deve essere presente a tutti i livelli. La questione semmai è la qualità della narrazione che si produce: sai fare bene storytelling o lo fai male? Racconti bene la storia degli altri nella tua, tanto da emozionare e coinvolgere o ti parli addosso senza empatia, creando contenuti testuali e visivi disarticolati?
Perché quello che serve veramente è un contenuto biografico che viene raccontato da persone: management, dipendenti, clienti, stakeholder. Ciò che conta è che ci sia un vissuto dietro ogni gesto comunicativo contemporaneo.
L’ERRORE DA NON COMMETTERE
Lo storytelling come orpello è l’errore, è ciò che non si deve fare. Tutto il campione d’aziende considerate è d’accordo. La narrazione come cosmesi non serve ed è quello che va evitato, così come va evitato l’approccio “una tantum”.
Le aziende prese in esame hanno sottolineato più volte che non si fa narrazione d’impresa tanto per fare, ma occorre generare un racconto di sé, dei propri pubblici, dei propri brand o delle proprie iniziative perché si desidera creare vero coinvolgimento (75%) e reale impatto positivo sul mondo. Con una attenzione particolare al coordinamento interfunzionale interno e un coinvolgimento di tutti gli stakeholder. D’altronde le organizzazioni contemporanee sono chiamate ad escogitare nuovi modi per comunicare la propria identità, per vendere i propri prodotti, per gestire le persone con strategie mirate di employer branding. In una parola, a definire e condividere narrative mirate di sé, del mondo e della vita.
GLI STRUMENTI IN USO
La cultura della narrazione è ormai un fatto. Viviamo in un content continuum permanente dove tutti raccontiamo tutto. Dalle video novel di YouTube ai reel di Instagram, passando per il magazine aziendale o le famose quattro chiacchere alla macchinetta del caffè. Le aziende intervistate si stanno sempre più attrezzando per gestire questo content continuum narrativo attraverso formazione mirata, sviluppando know how specifici, con una regia interfunzionale predisposta ad hoc e organizzando la filiera dei media in modo tale che sia il più story-driven possibile. E, quando serve, chiamando professionalità esterne mirate, storyteller che sappiano raccontare al meglio ciò che serve.
In tutto questo percorso gli strumenti diffusi che sono risultati più adottati sono:
- Piattaforme digitali interne o esterne per raccontare iniziative ai diversi pubblici (fuori e dentro l’azienda) a volte con la creazione di APP mirate (95%);
- Campagne di comunicazione (interne o esterne) con lo storytelling (85%);
- Envisioning, in cui la narrazione viene usata come processo per l’individuazione di nuove identità, purpose e principi strategici (70%);
- Talent Attraction, ovvero lo storytelling come leva per costruire ponti narrativi tra azienda e nuovi talenti o employee (70%);
- Social novel: l’uso dei media digitali (interni o esterni) per la narrazione mirata di progetti e iniziative aziendali, anche con approccio gaming e con ricadute cartacee (60%).
Così dalla survey si evince che lo storytelling è ormai una consolidata disciplina manageriale e organizzativa, che, in questo “accerchiamento narrativo”, si configura come approccio e strumento indispensabile con cui essere ascoltati e scelti. Un mezzo per coinvolgere emotivamente pubblici di riferimento (clienti, fornitori, consumatori, stakeholder); espandere le conoscenze; condividere esperienze e prassi di lavoro per proporre e “vendere” idee, progetti, prodotti/servizi. Un dispositivo socio-professionale indispensabile per costruire e governare il proprio set di azioni nel mondo.
L’esperienza di Confindustria: cento marketers a lezione di storytelling
C’erano oltre cento persone in sala, il 23 marzo, alla sessione formativa MarkeTHINK! dedicata alla Rete del Marketing e costruita nell’ambito del percorso Altascuola da Sistemi Formativi Confindustria per la Comunity dei Marketers del Sistema. Focus della giornata: il corporate storytelling. Andrea Fontana ha accompagnato la squadra, composta dai funzionari di tante associazioni territoriali e di categoria, nel secondo modulo dedicato al tema: al centro le tecniche più efficaci di racconto, posizionamento e gli strumenti per una narrazione efficace.
Tra esempi pratici ed esercitazioni, il gruppo ha potuto approfondire un argomento di primo piano per tutti, spendibile da subito nelle attività quotidiane legate al marketing, alla comunicazione e non solo (Giulia Bertagnolio).
(Servizio pubblicato sul numero di maggio dell’Imprenditore)