Conoscere meglio la realtà produttiva del nostro paese e le numerose articolazioni territoriali: rafforzare l’analisi dei fenomeni economici per migliorare la capacità di proposta, favorire l’adozione di policy sempre più mirate ed efficaci per sostenere la competitività delle nostre piccole e medie imprese. Sono questi gli obiettivi della seconda edizione del “Rapporto Pmi Mezzogiorno 2016” e della prima edizione del “Rapporto Pmi Centro-Nord 2016”, realizzati congiuntamente da Confindustria e Cerved.
Nei due studi è analizzato un pezzo importante del tessuto produttivo del nostro paese: le 137 mila imprese di capitali aventi i requisiti europei di Pmi, vale a dire un numero di addetti compreso tra 10 e 250 e un giro d’affari tra 2 e 50 milioni di euro.
I risultati sono interessanti e forniscono una accurata fotografia del mondo delle Pmi.
Ne vengono descritti i cambiamenti a partire dal 2007, i punti di forza e quelli di debolezza. Vengono, poi, ipotizzate probabili evoluzioni e avanzate proposte per sostenerne la ripresa, con un occhio alle significative differenze tra le macroaree e, ancora di più, tra le regioni.
La fotografia dei due Rapporti mostra, infatti, una struttura produttiva molto diversificata sul territorio: il Nord Ovest è l’area con il bacino di imprese più rilevante (47 mila, 1,3 milioni di addetti), seguita dal Nord Est (36 mila e 1 milione di addetti), dal Centro (28 mila imprese e 734 mila occupati) e dal Mezzogiorno (25 mila Pmi e 632 mila addetti).
Nord-Est e Nord-Ovest, poi, si caratterizzano anche per una maggiore presenza di medie imprese sul totale delle Pmi (rispettivamente17,5% e 18,4%), rispetto al Centro (15%) e al Sud (14,2%). Inoltre, al Nord e in alcune regioni del Centro, è più ampia la presenza di imprese industriali, mentre nel resto del paese sono relativamente più diffuse le imprese di servizi.
Si tratta di differenze strutturali non da poco, che hanno avuto conseguenze importanti, consentendo alle più robuste e meglio attrezzate imprese settentrionali di resistere meglio alla crisi, sebbene il terreno perduto, anche in quest’area, sia stato molto significativo.
L’effetto della crisi è stato, infatti, dirompente. Tra il 2007 e il 2013 il tessuto delle Pmi di capitali italiane si è ridotto di 13 mila unità, da 150 mila a 137 mila (-9%) e ciò è avvenuto non solo perché il numero delle nuove nate è stato considerevolmente inferiore a quelle che hanno cessato la loro attività, ma anche per il fenomeno del downsizing.
È altrettanto vero, tuttavia, che il processo di selezione ha fatto uscire le imprese fragili e rafforzato le altre, consolidando un sistema di Pmi più ridotto ma più solido: le imprese “sopravvissute” appaiono maggiormente in grado di sostenere una competizione, nazionale e internazionale, sempre più accesa.
Oltre a ridurre numero e dimensioni, la crisi ha determinato significativi cali nei principali indicatori economici. Il decremento generalizzato della redditività del capitale proprio investito (ROE) ne costituisce l’esempio più lampante. Ma cali altrettanto bruschi hanno riguardato fatturato e valore aggiunto.
Fortunatamente questo trend sembra essersi arrestato nel biennio 2013/2014: le stime indicano che nel Nord-Ovest il numero di imprese è cresciuto del 3,1%, nel Nord Est dell’1,1%, mentre appare ancora negativo al Centro (-1,1%) e, soprattutto, al Sud (-8,1%).
Il miglioramento del clima economico degli anni più recenti si riscontra soprattutto nella drastica riduzione delle chiusure d’impresa e dei fallimenti, fenomeno che ha tristemente caratterizzato tutto il paese negli anni della crisi. Il miglioramento delle prospettive, poi, fa crescere gli investimenti delle imprese esistenti e, cosa forse ancora più importante, ha fatto nascere un gran numero di nuove imprese, anche se spesso di piccolissime dimensioni.
Alcune di loro sono vere e proprie “gazzelle”, ovvero imprese che hanno saputo raddoppiare il loro fatturato tra il 2007 e il 2014: il 34,6% di esse operano nel Nord Ovest, il 26,5% nel Nord Est, il 20,6% al Centro e il restante 18,5% nel Mezzogiorno: ma molte di più sono le imprese “eccellenti”, che hanno fatto crescere il loro fatturato in condizioni di piena sicurezza finanziaria.
Anche grazie a loro, le previsioni per i prossimi anni sono positive: nel 2016 e nel 2017, fatturato e redditività dovrebbero continuare a crescere e le sofferenze a calare.
Numeri alla mano, si può osservare, insomma, che la ripresa, appena accennata nel 2013, appare ormai consolidata al Nord e, almeno in parte, al Centro: un discorso a parte lo merita il Mezzogiorno.
La fotografia delle Pmi del Sud, infatti, è in chiaro scuro nel 2014: assieme agli ultimi colpi di coda della crisi, appaiono chiaramente visibili i primi, seppure deboli, segnali di risveglio.
Nonostante anche al Sud, sia significativa (sia pure numericamente inferiore) la presenza di imprese “eccellenti”, ovvero ad alta crescita ed elevata sostenibilità finanziaria, ben più numerose sono le imprese che, pur vedendo crescere il loro fatturato, mostrano una vulnerabilità finanziaria che può mettere a rischio la loro sopravvivenza. Una vulnerabilità spesso legata ad una eccessiva dipendenza dal credito bancario, nonostante il rischio di ingresso in sofferenza sembri limitato e i risultati per i prossimi anni mostrino una tendenza ad una ulteriore riduzione. È come se il Sud viaggiasse indietro di un paio d’anni rispetto al resto del paese sulla strada di una ripresa che, in questa parte d’Italia più che altrove, per consolidarsi necessita di essere sostenuta da politiche e da strumenti efficaci dedicati. Soprattutto al Sud, dunque, è necessario far ripartire gli investimenti, fortemente penalizzati negli anni della crisi, e sostenere le imprese più innovative, incentivare la collaborazione in rete e la natalità imprenditoriale.
Da questo punto di vista, l’avvio dell’operatività del credito d’imposta per gli investimenti al Sud (soprattutto nel 2016, quando sarà cumulabile con il superammortamento), rappresenta una occasione da non perdere. Così come l’apertura dei primi bandi dei fondi strutturali 2014 – 2020, l’attivazione e l’ampia diffusione degli strumenti finanziari (nazionali ed europei), il preannunciato provvedimento finanziario “Finanza per la crescita”, rappresentano carte potenzialmente vincenti da giocare, in relazione ai maggiori punti di forza e criticità che i Rapporti mettono in luce. Si tratta di azioni e strumenti fondamentali, soprattutto se saranno accompagnati da azioni in campo fiscale, di semplificazione e di riduzione degli oneri amministrativi. Ciò che serve, tuttavia, è un disegno capace di tenere insieme queste azioni “mettendosi” dal punto di vista della piccola e della media impresa. Think small first”, pensare prima ai piccoli, era lo slogan dello Small Business Act lanciato qualche anno fa dalla Commissione Europea: è più che mai necessario rivitalizzare questo approccio, a partire dal livello nazionale, per disegnare policy più efficaci in tutti i campi e costituire la chiave per consentire a tutti i nostri territori di agganciare con decisione il treno della ripresa.