
Una volta mi sono trovato di fronte ad un imprenditore di 82 anni che mi chiese di aiutarlo. Quando non ci sarò più, mi disse, dovrete aiutare mio figlio a prendere in mano le redini della mia impresa”.
Il ragazzo in questione “aveva 60 anni”. L’aneddoto di Elvio Mauri, Amministratore Delegato della SPI – Servizi & Promozioni Industriali Srl, la società di servizi alle imprese dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, dà il senso di un fenomeno che spesso blocca lo sviluppo delle imprese italiane, ma allo stesso tempo raffigura una briciola del problema. Parliamo del passaggio generazionale. Da qui l’idea della SPI e del Gruppo Giovani Imprenditori di Univa: organizzare un percorso per affrontare la convivenza in azienda tra diverse generazioni. “Perché la questione continua Mauri non è solo quella di cedere il testimone, ma di creare ambienti aziendali dove possano coesistere diversi stili e modelli, basati sul le differenza di età”.
Detto in altri termini: “Il passaggio generazionale non si fa dal notaio, è un cammino costante, sempre in corso”, spiega il consulente di The Family Business Unit, Luca Marcolin. L’errore che troppo spesso viene commesso? “Ci si concentra sugli strumenti legali, sulla divisione delle quote, sulle agevolazioni fiscali, senza, però, condividere tutti insieme una strada da percorrere”. Che spesso non riguarda solo un padre e un figlio. Le dinamiche in un tessuto industriale storico come quello lombardo o varesino sono ancora più complesse. In aziende con decenni di attività alle spalle si arriva alla convivenza di padri, zii, figli, nipoti e nonni fondatori, magari solo formalmente usciti dall’organico, ma ancora ben presenti con il loro peso decisionale.
Basti un dato, quello delle aziende longeve iscritte al registro Imprese della Camera di Commercio con anno di fondazione antecedente al 1950, il cui elenco è rintracciabile sul Museo Web dell’economia varesina. Parliamo di 657 ragioni sociali. Negli ultimi 10 anni le imprese premiate dall’Unione Industriali per aver superato la soglia del secolo dalla fondazione sono state ben 40. Si tratta di realtà arrivate ormai alla terza, in alcuni casi quarta generazione. Come nel caso dell’Istituto di Vigilanza Notturna Gallarate Spa, dove la seconda generazione convive con la terza, rappresentata da Eleonora Merlo, Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori degli industriali varesini: “La difficoltà spesso sta nel tenere presenti i ruoli di ognuno nei diversi ambiti, quello famigliare, da una parte, e quello aziendale, dall’altra. Da una parte il padre e il figlio. Dall’altra quello del capo e il suo collaboratore. A volte si è di fronte al padre che tratta con i guanti di velluto il figlio, creando per affetto, dei favoritismi invisi in azienda. Altre volte c’è la durezza del padre titolare che, per far crescere il proprio ragazzo, gli riserva un trattamento più duro di quello con cui gestirebbe il rapporto con gli altri collaboratori”. Sono le due facce di una stessa medaglia. Quella, spiega Luca Marcolin, di “persone che mettono in campo ciò che hanno di più caro dal punto di vista sia affettivo, sia economico. E anche da questo punto di vista, quello economico, parliamo non solo dell’impresa, ma anche del patrimonio famigliare”. Da qui gli scenari complessi, dove l’elemento psicologico si sovrappone a quello prettamente manageriale. Impossibili da separare e dunque da gestire a compartimenti stagni.
Nel passaggio generazionale, spiega il consulente di The Family Business Unit, sono in gioco diversi sottosistemi, ognuno governato da dinamiche opposte. C’è quello della famiglia, dove predomina il mantra dell’uguaglianza per non fare torti a nessuno. C’è quello dell’impresa, dove le decisioni su chi fa cosa e quanto viene pagato per farlo sono basate sulla logica del merito. E poi c’è la proprietà dove a dominare è il ritorno del capitale.
Il problema, però, è che tutto si mischia in un solo ecosistema che deve conciliare le varie logiche di gestione. Imprenditori, figli con le loro famiglie, soci e dipendenti vivono ogni giorno quesiti complessi. “È giusto – fa un esempio Marcolin – che un fratello abbia lo stesso stipendio della sorella che ha più responsabilità? È giusto che il figlio dell’imprenditore che lavora nell’ufficio acquisti prenda uno stipendio maggiore del dipendente che condivide con lui l’ufficio e che ha le stesse mansioni? La moglie del figlio socio è d’accordo che venga staccata una cedola più bassa per lasciare più risorse agli investimenti dell’azienda?” La risposta a queste domande, secondo l’esperto che ha aiutato più di un’impresa ad affrontarle, è che “un passaggio generazionale funziona solo se viene pensato per tenere insieme tutto il sistema”. Non basta concentrarsi sul rapporto genitori-figli. Non basta nemmeno appoggiarsi a dei manager esterni. “Si rischia di perdere la parte visionaria e pretta mente imprenditoriale degli albori, quella che ha fatto le fortune dell’azienda”.
Ogni realtà, certo, fa storia a sé. Ma per tutte, secondo Marcolin, vale un consiglio: “Darsi una strategia. Chiedersi sempre, e questo vale per i padri quanto per i figli, cosa sarà l’azienda tra 20 anni. Il tema da porre al centro della propria quotidianità non è chi gestirà, e a partire da quando, l’azienda. L’obiettivo deve essere quello di dare continuità all’attività indipendentemente dai ruoli di ognuno”. E quindi: un consiglio di famiglia per gestire le questioni famigliari. Un’Assemblea dei soci e un Cda per prendere le decisioni sulla proprietà. Comitati gestionali per dirimere le questioni prettamente legate alle attività di impresa.
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