C’è tanto mondo nell’impresa che raccontiamo oggi, un mondo che però non ha mai perso le radici genuine della “sua” Romagna, ci sono molti sogni, qualche leggenda e una storia centenaria che inizia a Mondaino, piccolo borgo delle colline riminesi.
“Il bisnonno Antonio era originario della zona di Castelfidardo, patria della fisarmonica, e come tutti là, sapeva suonarla – esordisce Maurizio, terza generazione della famiglia Galanti, direttore marketing (“ho seguito per anni il settore Ricerca&Sviluppo, adesso serve qualcuno che faccia conoscere bene quello che siamo e che sappiamo fare”) – a Mondaino faceva l’ebanista e per arrotondare, erano gli inizi del Novecento, c’era tanta miseria e lui aveva 9 figli, si ingegnava non poco. Si mise in testa di costruire una giostra, sa quella delle fiere, con tanto di cavallini che girano”. E fece tutto, pezzo per pezzo, anche le parti meccaniche, racconta divertito Maurizio, ricordando che i paesani davano al bisnonno del matto per via di quei “prosciutti di legno” messi fuori dalla porta della bottega. Antonio non se ne cura, finisce la giostra e si mette a girare per i paesi con tanto di accompagnamento musicale, un organetto che si costruisce da solo e che insegna ai figli a suonare. I tempi sono duri però e l’ingegno non basta.
Domenico, il primogenito, decide di tentare la fortuna in America. Nel 1910 sbarca a Ellis Island – abbiamo ritrovato il documento originale dell’arrivo del nonno, mi dice commosso Maurizio – e nel tempo libero suona la fisarmonica nelle balere della Little Italy nostalgica dei suoi compaesani, emigranti come lui, che sempre più numerosi dimostrano interesse per questo strumento e gli chiedono di imparare a suonarlo. A partire dal 1914 lo raggiungono tre dei suoi fratelli, Robusto, Roberto ed Egidio e, insieme iniziano un vero e proprio commercio di fisarmoniche. Papà Antonio le costruisce in quel di Mondaino, loro le vendono a Nuova York. Gli affari vanno talmente bene che decidono di tornare in Italia e nel 1924 fondano la “Fratelli Galanti Fisarmoniche”.
La domanda è così alta che nel 1929 si costruisce, sempre a Mondaino, il nuovo stabilimento, inaugurato nel 1932: un edificio che oggi ha un valore storico per essere stato uno dei primi in Italia realizzati in cemento armato, che è sede del Museo dell’azienda, del laboratorio di ricerca e di un Auditorium per concerti (“la musica non è solo bello farla, è bellissimo farla ascoltare”). Nel decennio ’30-40 l’attività cresce – gli operai salgono quasi a 120 – e cambia anche il volto di un territorio che, nato a vocazione agricola, impara invece a ruotare attorno alla sua fabbrica di fisarmoniche. Tutte le parti dello strumento, meccaniche e musicali, si fanno in proprio, dai tasti, al mantice alle ance. E ci si comincia ad affacciare sui mercati europei: i prodotti sono di qualità, hanno uno stile raffinato che segue le mode del tempo – alcuni di questi strumenti sono diventati oggetti da collezionisti – e i costi sono competitivi. Tutto procede. E invece tutto si ferma. Scoppia la guerra e la produzione si blocca: “per evitare che i tedeschi distruggessero i macchinari li abbiamo nascosti nei casolari”, ricorda Maurizio. Con la fine del conflitto mondiale, l’attività riprende e passa di mano alla seconda generazione dei Galanti. Siamo negli anni ’50 e nel mondo della musica inizia l’era dei transistor.
L’azienda si fa trovare pronta: apre all’elettronica e affianca alle fisarmoniche quello che è universalmente riconosciuto come il re degli strumenti musicali, l’organo, che allora, nel pop, mi spiega Maurizio, “tirava moltissimo”. Nel pop, l’organo?? “Sì – sorride – non deve pensare all’organo solo come alla voce sacra di chiese o cattedrali, molto spesso è usato anche come voce laica”. Vero. Tanto che nel ’900, per esempio, accompagnava i primi film muti al posto del pianoforte, o era prestato – lo è tuttora, in realtà – a generi musicali più “profani”. Merito dello statunitense Laurens Hammond che negli anni ’30 progettò e costruì il primo organo elettrico: destinato alle chiese in alternativa ai più costosi organi a canne, trovò subito largo utilizzo nel jazz, nel blues, nel gospel e, in misura crescente, nel pop e addirittura nel rock.
Dopo alcune vicissitudini – la produzione delle fisarmoniche lascia il posto a nuovi strumenti elettronici: chitarre elettriche, organi e amplificatori commercializzati sotto diversi marchi – nel 1969 Marcello Galanti, figlio di Egidio, fonda la Viscount International e convoglia la produzione sugli organi elettronici per uso liturgico.
Oggi la Viscount International – riconosciuta azienda storica da Confindustria Rimini e celebrata in un volume edito da Banca Popolare Valconca – conta 60 dipendenti, un terzo dei quali ingegneri e tecnici del suono che lavorano nell’area R&S, percentuale altissima per una piccola impresa; ha un giro d’affari che supera i 7 milioni di euro ed esporta più dell’80% della produzione all’estero, oltre che negli Stati Uniti, dove ha costruito la sua fama, anche in Olanda, Regno Unito, Africa, Cina, Giappone e Corea.
Il core business resta l’organo – accanto a pianoforti digitali e amplificatori professionali – una nicchia, confessa Maurizio, che ci ha protetti durante questi lunghi anni di crisi, soprattutto perché siamo capaci di fare strumenti “su misura”, nel senso che riusciamo ad adattarli alla tradizione organistica di ciascuno dei paesi in cui vendiamo. Per darvi un’idea di quello che fa questa piccola eccellenza romagnola, la Yamaha, cioè il più grande costruttore al mondo di strumenti musicali, compra gli organi da loro e li vende in Giappone, non perché non abbia la tecnologia giusta per farli, ovviamente, ma perché non riesce a riprodurne la “cultura” liturgica. Un patrimonio e una sapienza che invece a Mondaino sono di casa e che in questi cento anni sono andati di pari passo con l’innovazione tecnologica. Anzi, sono stati un passo avanti.
Le grandi rivoluzioni musicali qui sono sempre state anticipate, dal transistor, al digitale, fino al physical modelling dei giorni nostri. “Studiamo la fisica degli strumenti che generano i suoni e la riproduciamo” dice con incredibile semplicità Maurizio. Come se fosse facile analizzare le vibrazioni meccaniche di uno strumento musicale e trasformarle in un modello matematico fatto di equazioni e algoritmi la cui soluzione dà vita al suono, meglio, alla più ampia gamma possibile di suoni. Un po’ come studiare il modo in cui si muovono le nostre corde vocali e riprodurre poi tutte le voci umane. Una magia tecnologica costata sette anni di ricerche; collaborazioni con tre università, Verona, Parma e Ferrara; un investimento di due milioni di euro; due brevetti depositati. Tutto condensato nel Physis Piano. Design raffinato, strumento avanzato e completo – si legge nel sito dedicato – tanto da non poter essere paragonato a nessun altro pianoforte digitale, frutto di una tecnologia e di un lavoro di progettazione ed engineering di altissimo livello. Presentato nel 2013, ha avuto riscontri eccellenti. Capite adesso perché “serve qualcuno che faccia conoscere bene quello che siamo e che sappiamo fare”? Un’impresa così merita di risuonare in ogni angolo di mondo.