All’apertura del semestre europeo a guida italiana il premier Matteo Renzi ha chiesto alle istituzioni europee un nuovo inizio, evidenziando quelle che sarebbero state le priorità dell’Italia: non più austerity, ma maggiore flessibilità per puntare su tre parole chiave, lavoro, crescita, investimenti. Il nostro governo si è battuto per questo cambio di marcia e la nuova Commissione sembra aver segnato un inizio diverso. Ne parliamo con Sandro Gozi, Sottosegretario agli Affari europei.
Quali sono le grandi sfide che l’Europa ha davanti?
L’Europa deve assolutamente uscire dalla crisi economica che la sta attanagliando da ormai troppi anni. Occorre avviare un nuovo ciclo politico che sappia dare altre risposte e portare i cittadini europei fuori da questa condizione. Le elezioni europee di fine maggio sono state un primo campanello d’allarme da questo punto di vista: il consenso nei confronti delle forze euroscettiche ha toccato picchi elevati, per cui era necessario dare un segnale.
Che ruolo può avere l’Italia?
Il governo italiano si è battuto affinché questo nuovo ciclo avesse inizio. Non potevamo permettere che si proseguisse sulla strada dell’austerity: abbiamo insistito sulla necessità di cambiare politiche, puntando su investimenti, flessibilità e soprattutto crescita. Senza la spinta dell’Italia, questo cambiamento non sarebbe stato possibile. L’importanza del nostro paese è notevolmente cresciuta in questi ultimi mesi: pensiamo alla scelta di Federica Mogherini come Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune. Non solo la nomina di Mogherini è importante poiché ne valorizza le competenze; ma si è trattato di un fondamentale contributo che l’Italia ha dato al raggiungimento di un accordo che ha dato il via al nuovo ciclo europeo. Ci aspettiamo che Mogherini sappia interpretare al meglio non solo il ruolo di Alto Rappresentante, ma anche quello di Vice Presidente della Commissione.
Cosa si aspetta dalla nuova Commissione Europea?
Mi aspetto che riporti la politica al centro dell’Europa: la Commissione Barroso è stata fin troppo tecnica, ora è fondamentale che la nuova Commissione sappia prendere importanti decisioni politiche. Jean Claude Juncker ha lavorato seguendo questo approccio al momento di creare la squadra che lo coadiuverà nei prossimi cinque anni. Giudico positiva, da questo punto di vista, la creazione di una struttura “a cluster” per quanto riguarda la diversa ripartizione delle funzioni. Mi sembra un approccio innovativo e capace di migliorare l’efficienza di un organo collegiale come la Commissione. Juncker ha giustamente ricordato come la sua Commissione abbia una decisa caratterizzazione politica, sin dalla scelta dei Commissari: bene, io condivido questo percorso e sono convinto che in futuro debba essere sempre di più così.
Per il rilancio dell’economia il governo chiede per l’Italia maggiore flessibilità sui parametri previsti nel Patto di stabilità in cambio di un robusto programma di riforme strutturali. Ritiene che sarà possibile?
Abbiamo già ottenuto flessibilità quando abbiamo presentato la legge di stabilità: la Commissione chiedeva un taglio del deficit pari allo 0,7%, siamo riusciti a ottenere una cifra dello 0,3%. Questo perché Bruxelles ha riconosciuto i nostri sforzi a livello nazionale: stiamo facendo le riforme, ma non perché ce lo chiede l’Europa, ma perché ce lo chiedono i cittadini italiani. Da troppi anni nel nostro paese è aperto il dibattito sulle riforme: io sono convinto che sia necessario passare all’azione e ottenere dei risultati. Il governo italiano è seriamente impegnato in un processo di riforme di cui Bruxelles non può non tener conto: non dobbiamo dimostrare credibilità all’Europa ma a noi stessi.
Si può davvero parlare di Europa a “due velocità”?
Credo sia necessario dare forza e concretezza al progetto europeo per come è attualmente. Abbiamo già pagato fin troppo dazio alla rappresentazione di due Europe contrapposte, quella del Nord e quella del Sud: occorre lavorare nella stessa direzione affinché si evitino spaccature. Quale che sia la strada dell’Europa in futuro, sinceramente è difficile immaginarlo ora, specialmente in un quadro così complesso, e con una legislatura appena iniziata.
Pensa che 300 miliardi di investimenti in 3 anni saranno sufficienti per rimettere in sesto l’Europa?
Se pensiamo che Obama ne ha stanziati 800 in un anno solo… Diciamo che sono un primo passo importante. Vigileremo affinché questi 300 miliardi siano addizionali, poi si può discutere sulla loro natura, cioè se debbano essere privati o pubblici. Entro Natale avremo i dettagli: mi sembra un ottimo risultato.
Il piano di investimenti è una “good start”, una buona partenza. Deve riguardare le politiche europee della strategia 2020, ma anche quelle nazionali, per fare quello che l’Europa in questi anni colpevolmente non ha voluto fare.
In tutti i paesi europei sta emergendo una crescente sfiducia verso le istituzioni comunitarie. Come sarà possibile ricucire questo strappo?
È necessario avvicinare l’Europa ai suoi cittadini: se Bruxelles viene percepita lontana e chiusa tra i suoi bilanci, è ovvio che la sfiducia crescerà. Se invece la Ue dimostrerà di essere capace di rispondere ai bisogni fondamentali dei propri cittadini, crisi economica in primis, questa percezione cambierà.
Aggiungo che sotto questo punto di vista non vanno dimenticate le politiche che mirano alla tutela dei diritti.
Il Consiglio Affari Generali sta lavorando affinché la “rule of law” sia al centro del dibattito europeo e vi garantisco che non è facile poiché le sensibilità su questo ambito sono molto diverse le une dalle altre.
Credo sia importante, specialmente per i cittadini, sapere che la Ue non si occupa solamente di algoritmi finanziari, ma anche dei bisogni quotidiani delle persone.
Tra quanti anni si potranno immaginare gli Stati Uniti d’Europa?
Spero presto: vorrebbe dire che i padri fondatori hanno trovato dei “figli fondatori” capaci di realizzare il loro sogno.