La globalizzazione dei mercati, l’irrompere delle economie asiatiche nel commercio internazionale, la continua evoluzione tecnologica, lo squilibrio energetico, la dura lotta per l’accesso a dotazioni infrastrutturali adeguate alle crescenti sfide di competitività territoriale, la grande sfida nella formazione del capitale umano.
Sono questi alcuni dei fattori che determinano la crescita economica e che solo in parte possono essere oggetto delle politiche industriali delle autorità di governo; il resto costituisce una sfida con cui le imprese devono cimentarsi quotidianamente in via esclusiva.
Il panorama nazionale nel quale ci troviamo a operare ci racconta di una crescita che arranca e di un divario del Pil rispetto ai livelli pre-crisi ancora superiore all’8%.
Il nostro Paese, ad oggi, continua a essere trainato dai servizi, il settore manifatturiero sembra pronto a un rilancio, che però viene rimandato di trimestre in trimestre da troppo tempo.
Il tentativo di questi anni di ricercare la “via italiana alla globalizzazione” per non disperdere il vasto e qualificato know how manifatturiero, riorganizzandolo attorno a più solide imprese orientate al mercato nelle sue nuove dimensioni, è stato difficile e, in certi casi, duramente selettivo.
È in un contesto del genere, fatto spesso di stime schizofreniche, che noi imprenditori ci troviamo a lavorare, dovendo sfruttare, cercare e agganciare un positivo zero virgola sul quale investire fatica, ricchezza, opportunità.
Allora diventa importante pensare che la strada italiana verso un nuovo modello di manifattura, anche se con divari significativi al proprio interno tra imprese efficienti e meno efficienti, si conferma al di sopra dello standard europeo, risvegliando l’interesse e la capacità di restare a pieno titolo nel cuore della manifattura continentale, sviluppando più “innovazione formalizzata”, connessa con le catene globali del valore.
Lungo questo percorso appare significativo il sostegno del Governo, che ha varato in questi giorni, con il Piano per l’Industria 4.0, un intervento di tredici miliardi di euro a favore degli investimenti privati.
Nella nostra regione, il Lazio, abbiamo ragione di credere che un positivo zero virgola c’è. Il nostro territorio, caratterizzato da un tessuto imprenditoriale molto disomogeneo, ha subìto gli effetti della crisi in misura e modalità sicuramente sui generis rispetto al resto del Paese.
I dati Istat disponibili sull’evoluzione dell’economia laziale hanno indicato dal 2008 al 2011 un rilevante arretramento del valore aggiunto: a trascinare in basso il dato medio regionale hanno contribuito il forte rallentamento dell’industria in senso stretto e la pesante caduta dell’edilizia.
Queste evoluzioni hanno in parte ridisegnato il quadro economico del Lazio, accentuando ulteriormente la vocazione terziaria del territorio a scapito del settore industriale.
Ad oggi siamo, però, di fronte ad una svolta. Già a partire dal 2013 i dati sul valore aggiunto hanno subìto un’inversione di tendenza, seppur di uno zero virgola positivo e il Pil è previsto in crescita, in linea con il trend nazionale.
Le esportazioni della regione hanno continuamente aumentato la loro quota sul totale nazionale, raggiungendo il 4,9%, dato che ha permesso al Lazio di classificarsi, anche lo scorso anno, tra le principali regioni esportatrici del Paese, con oltre 20 miliardi di vendite estere.
I principali settori in valore assoluto continuano a essere il farmaceutico (40,4% del totale esportato), seguito dai mezzi di trasporto (11,2%), chimico (8,7%), metalli di base (5,5%) e macchinari e apparecchi (4,9%).
Per quanto riguarda il primo tra quelli citati, ovvero il settore farmaceutico, la sua incidenza nell’economia regionale è stata ulteriormente rafforzata da investimenti presenti e futuri che colossi dell’industria del settore intendono mettere in campo.
Recente è, infatti, l’annuncio da parte di ABBVIE, multinazionale biofarmaceutica, di un investimento pari a 60 miliardi di dollari entro il 2017 per l’avvio di una linea produttiva all’avanguardia proprio nel sito industriale di Campoverde di Aprilia, in provincia di Latina.
Anche dal settore dell’automotive giungono buone notizie. Nel Lazio, infatti, nel primo semestre 2016 abbiamo osservato un’ottima prestazione in termini di esportazioni per i mezzi di trasporto (+75,1%) raggiungendo quota 1,1 miliardi.
All’interno di questa performance spiccano per importanza la provincia di Frosinone, dove i mezzi di trasporto fanno segnare un
+ 25,8% nel valore del venduto e Roma, dove la performance del settore è più che positiva, addirittura + 107,6% nel primo semestre 2016 rispetto al primo 2015.
A sostegno di questa notevole crescita anche l’amministrazione regionale sembra voler fare la sua parte, sostenendo l’indotto >
dell’automotive e annunciando di voler mettere a disposizione di una delle più grandi industrie del Paese investimenti per 3,5 miliardi di euro, destinati a rilanciare l’indotto e il settore.
A questa cifra ammonta, infatti, il nuovo investimento che la nostra regione intende effettuare per sostenere lo sviluppo e il rilancio dell’indotto Fca di Frosinone.
L’obiettivo è quello di sostenere l’indotto convogliando nuovi investimenti verso una delle industrie più significative del nostro Paese, ma anche quello di finanziare le infrastrutture per lo sviluppo e la reindustrializzazione di una provincia, quella di Frosinone, che si appresta a diventare una delle aree a più alto tasso di investimenti nel nostro Paese.
Se, dunque, dal passato abbiamo subìto perdite, riallocazioni, ri-identificazioni, questi dati incoraggianti non possono non lasciarci pensare a uno scenario dove il segno “più” riguarderà un tendenziale sensibilmente lontano dai soli pochi decimali di punto, dove la ripresa dell’industria trascinerà un solido rilancio e il benessere di una regione che, ad oggi, ha tutte le carte per qualificare il proprio positivo modello di sviluppo tra i migliori del nostro Paese. Sappiamo quanto la dimensione infrastrutturale e quella della politica industriale svolgano un ruolo fondamentale e sinergico nella promozione delle attività di sviluppo del territorio e le due linee di intervento andrebbero perciò programmate in maniera congiunta.
Dall’uso accorto delle politiche industriali dipende la nascita e la crescita di un tessuto industriale coerente con le attese e con l’assetto materiale delle reti e dei servizi.
Politiche di investimento a sostegno delle infrastrutture della regione e di promozione dell’industria sono strettamente correlate e non possono essere pianificate separatamente l’uno dall’altra, se non a prezzo di perdere importanti sinergie.
Questo è quello che ci aspettiamo, questo è quello che porta molti di noi imprenditori a investire, credere, scommettere in un Lazio 2020 all’altezza di “grandi imprese”..
Dopo un rilevante arretramento dal 2008 al 2011 nel lazio dal 2013 i dati sul valore aggiunto registrano un’inversione di tendenza anche se lieve