Libia: incremento potenziale dell’export italiano entro il 2020 pari a +322 milioni di euro. Media rischio politico: 95/100. Nell’apparente contraddittorietà di queste due stime Sace ci sono tutte le luci e le ombre di uno dei più importanti paesi dal punto di vista geopolitico ed economico per l’intera area sud-mediterranea. Non solo per l’Italia, per cui rappresenta il 56° mercato di destinazione per l’export e l’ottavo mercato di destinazione in Medio Oriente e Africa, sempre secondo Sace.
Sospesa tra il folclore di ieri, che accompagnava gli incontri di Gheddafi, e le rotte migratorie di oggi, nell’immaginario collettivo la Libia evoca ancora i grandi affari di un paese che materialmente galleggia sul petrolio o, per contrasto, inimmaginabili scenari di instabilità e pericolo. Tutto vero. Luci e ombre.
Una cosa però è chiara: in questo Mediterraneo fluido niente è più come prima, politicamente e anche dal punto di vista imprenditoriale. Questo vuol dire ragionare sul presente, abbandonando reminiscenze postcoloniali o illusioni di contratti faraonici. Per il semplice motivo che il mondo è cambiato: quello che non facciamo noi italiani lo fanno altri competitor. E per la Libia c’è solo l’imbarazzo della scelta, a cominciare dalla Francia e le sue mire storiche.
Così non c’è da stupirsi se al passo avanti del Governo italiano che lo scorso luglio ad Agrigento aveva messo intorno ad uno stesso tavolo politica e imprese, ha fatto seguito l’azione di Macron, il quale ha chiamato a Parigi il premier Al Sarraji e il generale Haftar, a capo rispettivamente di Tripolitania e Cirenaica, le due anime della Libia politica, che tuttora si contrappongono senza trovare unità. Solo politica estera? No, a ben vedere è stata anche e soprattutto politica economica. Lo stesso Gentiloni, nel suo intervento all’assemblea generale dell’Onu, ha ricordato che il futuro dell’Europa è in Africa.
Dopo quattro anni di guerra civile, la Libia è un’economia da ricostruire. Il mercato retail è piccolo perché i libici sono numericamente pochi, all’incirca sei milioni di abitanti: ma hanno bisogno di tutto. Nel paese non si produce niente e non c’è cultura d’impresa. Infrastrutture, energia e idrocarburi, telecomunicazioni, finanza e banche sono settori centrali in un futuro possibile partenariato che si posizionerà al centro dell’area mediterranea e sono stati i focus del “Forum economico italo-libico”, anticipato il giorno prima dalla Dichiarazione congiunta sul rilancio della Cooperazione economica italo-libica tra il nostro ministro degli Esteri Alfano e il vice primo ministro libico Maitig.
“Vogliamo promuovere investimenti italiani in Libia e valorizzare la presenza di società libiche in Italia. Nel Forum abbiamo dato importanza alle infrastrutture, in particolare agli aeroporti, per sviluppare collegamenti aerei con l’Italia e il resto d’Europa. Settori chiave sono anche i servizi, l’energia, quello bancario e finanziario. È necessario, però, regolare il quadro normativo fiscale e rendere efficienti le transazioni finanziarie. Si auspica che la Libia divenga la nostra porta sull’Africa” ha affermato il ministro Alfano, indicando, tra le righe, il supporto del Governo italiano all’azione imprenditoriale.
“Determinazione e fiducia per nuove iniziative: ma occorre ripartire dall’Accordo del 2013”, (quando l’allora governo libico riconobbe l’ammontare esatto delle somme da riconoscere alle imprese italiane per i lavori e le forniture pregresse, ndr) ha chiesto ad Agrigento Antonio Montanari, vicepresidente di Confindustria Assafrica&Mediterraneo ricordando i “crediti storici” delle aziende italiane, tema di fondo che ha aleggiato costantemente nel corso dell’incontro. Si tratta di oltre 233 milioni di euro che il governo libico si è impegnato a pagare grazie all’azione di Airil, Ance e Confindustria Assafrica, le tre associazioni imprenditoriali che dal 1998 stanno portando avanti il complesso negoziato, assieme al ministero degli Esteri. Una questione tuttora aperta, la cui soluzione è necessaria per ristabilire un pieno ritorno della fiducia delle imprese nel sistema libico e la cui rilevanza ad Agrigento è stata sottolineata anche da Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria.
Politica, geopolitica, economia. Uno scenario con un convitato di pietra: la società civile libica, cui si deve il piano “Vision 2023”, basato su quattro pilastri (Pace e sicurezza, Sviluppo economico, Sviluppo umano, Riforme governance e Settore pubblico), in cui tra l’altro si fa riferimento al settore privato come fattore di sviluppo dell’economia nazionale.
“Vision 2023” è anche un portale (http://www.ihyalibya.com/lv/Array) che invita la popolazione libica a esprimere la propria idea per il futuro del paese.
Uno strumento che ricorda il portale con cui il re del Marocco invitava i suoi concittadini a esprimersi sulla revisione della Costituzione e che fa riflettere, una volta di più, sull’affermazione di Amartya Sen secondo cui non c’è sviluppo umano senza sviluppo economico.
Infrastrutture e scuole, sicurezza, sanità, rilancio del turismo, ambiente e comunicazioni sono anche tra i 12 progetti presentati a settembre a Bruxelles, tramite l’Italia, dai sindaci libici di 12 città. Sindaci, comunità territoriali, società civile: dal punto di vista imprenditoriale, questa nuova Libia è una storia nuova.
Da riscrivere con l’alfabeto dell’oggi, in un mondo globale che non fa sconti a nessuno e in cui non si vive di rendita, ma con attenzione e prudenza. E soprattutto con il dna del modello industriale italiano, che i libici sanno benissimo essere un fattore primario di crescita e benessere.