Più multiregionali e migliore accesso al credito. Non solo: con le misure per i giovani la rete diventa fondamentale per rafforzare la formazione in azienda.
Le reti di impresa sono alla svolta, pronte a dare un contributo fortissimo allo sviluppo del Paese in fatto di ricavi, valore aggiunto e nuova occupazione. Con la crescita esponenziale degli ultimi anni, e mesi, sono oggi una realtà non soltanto economica, ma sociale per il modello aperto, solidale e inclusivo che incarnano. Un fenomeno autentico, una delle risposte più nette alla grande crisi, che non può più essere ignorato nella programmazione delle azioni di politica industriale del Paese, né dai grandi operatori economici pubblici.
La grande accelerazione degli ultimi tempi da parte delle piccole e medie imprese verso i contratti di rete, sino a pochi anni fa le più gelose a difendere la propria “solitudine”, ha ottenuto risultati importanti in materia di appalti pubblici, distacco semplificato dei dipendenti in rete, negli strumenti agevolativi dei contratti di sviluppo, nei bandi regionali e comunitari e nel piano nazionale di Industria 4.0. E qui c’è stato il salto di qualità più significativo: proprio grazie all’azione di Confindustria e RetImpresa, l’agevolazione fiscale del super e iperammortamento è stata riconosciuta alle imprese in rete.
Tale beneficio rappresenta un grande catalizzatore per la creazione di nuove reti, perché rende vantaggioso effettuare insieme investimenti importanti in tecnologie e innovazione, riducendo i costi e accompagnando le imprese nella trasformazione digitale, verso modelli sempre più interconnessi e, insieme, internazionalizzati.
Sono orgoglioso di quanto fatto, ma so bene che resta da fare ancora molto per far crescere la convinzione sulle potenzialità dello strumento e il sostegno alla sua diffusione capillare, soprattutto in alcuni territori.
La rete va sostenuta innanzitutto perché rappresenta un salto nella cultura imprenditoriale del Paese e un cambiamento operativo dei modelli organizzativi delle pmi. Essa si fonda, infatti, su una relazione di collaborazione e fiducia tra imprenditori e consente di sperimentare modelli organizzativi più innovativi, di condivisione e integrazione fra le stesse aziende, orientati allo scambio di know how e competenze, aperti anche verso altri attori del territorio e flessibili rispetto al mercato.
La rete, dunque, pone le basi per un nuovo modello di sviluppo più aperto, collaborativo e inclusivo, capace di valorizzare lo straordinario potenziale di ogni impresa e del territorio, anche in un modello virtuoso di aggregazione delle filiere.
Bisogna aumentare quel 27% di reti multiregionali che sviluppano progettualità di larga scala, senza confini territoriali e campanilismi, che sono del tutto fuori luogo quando uno dei nostri driver principali è quello dell’internazionalizzazione.
Ora, giunti a questo stadio di sviluppo e di consapevolezza, dobbiamo fare un passo decisivo: inserire le reti in una politica regionale e nazionale che promuova strumenti adeguati di incentivazione per superare gli attuali limiti di territorialità connessi all’utilizzo delle risorse regionali/comunitarie.
RetImpresa e Conferenza delle Regioni hanno avviato una collaborazione che ha già definito alcune proposte (come, ad esempio, accordi multiregionali o la creazione di un fondo nazionale unico ad hoc) per porre il tema all’attenzione dei decisori. Sono convinto che, se si vuole veramente far crescere le reti in maniera massiccia in tutto il territorio nazionale, serva una strategia coerente sul piano delle policy che tocca tre asset fondamentali: il credito/finanza, le grandi committenze private e una politica fiscale unica di vantaggio per le reti.
In tema di credito, infatti, si registrano ancora molta cautela e resistenza a concedere finanziamenti sulla base del programma di rete e del relativo business plan. Gli istituti continuano ad applicare i tradizionali strumenti di garanzia sulle singole imprese, senza entrare nel merito del progetto di rete; manca un meccanismo di valutazione pubblico-privato dei programmi di rete che possa portare a una sorta di rating di rete e a una garanzia di copertura almeno parziale del rischio del credito.
Anche su questo tema RetImpresa ha avviato un confronto a tutto campo con alcune banche, con Cassa depositi e prestiti, con il mondo dei Confidi, avanzando proposte concrete che attendono, però, una decisione che tarda a maturare. Cogliere la ripresa in atto è anche un fatto di velocità, che riguarda tutti gli attori della scena economica.
Lo dico con chiarezza ai nostri interlocutori bancari: l’istituto che per primo mette la testa di alcuni suoi uomini sulle potenzialità delle reti e ci dà fiducia otterrà, ne sono certo, risultati importanti e crescenti nel tempo.
Anche per quanto riguarda le grandi committenze private, c’è ancora molto lavoro da fare. Nonostante il riconoscimento nel codice degli appalti pubblici, nelle gare private molte delle grandi stazioni appaltanti infatti tardano a riconoscere le reti e a modificare i disciplinari in maniera coerente a quanto la legge richiede per le gare pubbliche.
Un ritardo che penalizza quel salto culturale cui si accennava verso un modello di sviluppo collaborativo, tra pmi e tra grandi e piccole imprese. Infine, serve una politica fiscale di incentivazione che premi e stimoli la capacità/potenzialità delle reti di produrre occupazione, innovazione e quindi crescita.
Avanzo in proposito, in linea con la strategia generale del presidente Boccia, la proposta di studiare un meccanismo di defiscalizzazione totale – per un periodo ulteriore di tre anni – del costo del lavoro per le imprese in rete che assumono in maniera stabile giovani nei programmi di sviluppo e di innovazione, sia in chiave di Industria 4.0, sia in chiave di internazionalizzazione.
Un modo di favorire non solo l’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro, che rappresenta la vera emergenza del Paese, ma anche di creare e rafforzare il percorso di formazione on the job all’interno del network di aziende in rete con competenze diversificate, incentivando contemporaneamente il passaggio delle pmi alla trasformazione digitale e a un modello di sviluppo a rete che valorizza la collaborazione e lo scambio tra le imprese, nel rispetto dell’identità e dell’autonomia di ognuna. Pensate a quale piattaforma di esperienze potrebbero accedere i giovani all’interno della rete, quale percorso formativo unico avrebbero a disposizione, e quale contributo potrebbero dare a una società connessa e internazionalizzata, aperta e inclusiva per valori e cultura.