Per il primo editoriale dopo la pausa estiva non possiamo che partire dall’evento più atteso della ripresa: la presentazione del rapporto di Mario Draghi “Il futuro della competitività europea”. In linea con la caratura dell’ex presidente della Bce, le oltre 300 pagine del documento affrontano in modo analitico la condizione attuale dell’Europa, i possibili scenari futuri e le azioni necessarie.
La crescita economica dell’Europa mostra valori più bassi rispetto agli Stati Uniti e alla Cina. I nodi ai quali il rapporto fa riferimento sono i soliti, che tante volte anche dalle pagine di questa rivista abbiamo ricordato: innovazione, prezzi dell’energia, dipendenza da paesi instabili. Problemi che richiederebbero maggiore coesione e, soprattutto, il completamento del processo di integrazione a partire dall’unione bancaria e del mercato dei capitali. E richiederebbe anche, insieme a un avanzamento delle regole per l’integrazione, un salto culturale tanto tra cittadini comuni, quanto nelle classi dirigenti europee nel concepirsi realmente come “Unione”.
Poche settimane fa abbiamo seguito la notizia di una grande banca italiana interessata all’acquisizione di una tedesca. La risposta del cancelliere Olaf Scholz a questa ipotesi è stata significativa e altamente rivelatrice, a nostro avviso, del clima di diffidenza generale: rinserrare le fila e non permettere l’ingresso della banca italiana. Ma allora mi chiedo: il mercato unico funziona a corrente alternata secondo convenienze? C’è una evidente questione, appunto, tanto di cogenza delle regole a garanzia del libero mercato, quanto di convinzione nel perseguire davvero l’obiettivo dell’integrazione.
Cambiando argomento, all’Italian Energy Summit organizzato dal Sole 24 Ore a fine settembre, tutti gli interlocutori sono stati concordi nel sottolineare che le scadenze richieste dall’Unione europea sulla decarbonizzazione siano draconiane. In una parola, inapplicabili. Si è inoltre affermato che l’approvvigionamento in sicurezza di alcune materie prime strategiche non può restare in mano a paesi ad alto tasso di instabilità geopolitica. E ancora, tra le tante soluzioni, serve un massiccio investimento nell’industria della difesa e dello spazio.
Occorrono visione, lungimiranza e quelli che una volta, con un termine forse obsoleto, venivano chiamati “statisti”: politici con una visione coraggiosa e liberi dai vincoli legati al mantenimento del consenso elettorale, politici che possano attuare quelle grandi riforme che spesso risultano impopolari ma danno risultati nel lungo periodo.
L’Europa ne ha bisogno non per sopravvivere ma per tornare la protagonista economica che merita di essere.
(Articolo pubblicato sul numero di ottobre de “L’Imprenditore”)