Il calo dei fatturati nelle piccole imprese campane nel 2020 dovuto all’impatto del Covid è stato dell’11,4%. Un parziale recupero è previsto nel 2021, mentre dal 2022 la ripresa dovrebbe tornare a un ritmo normale, con una crescita reale del 2,3%, insufficiente però per tornare ai livelli pre-crisi.
È questa, in sintesi, la fotografia delle imprese campane scattata dalla Piccola Industria di Confindustria Campania nel “Rapporto Pmi Campania”, studio sull’economia regionale che nel programma del neopresidente Pasquale Lampugnale sarà aggiornato ogni sei mesi.
Lo scenario delle Pmi
In Campania il 99,4% delle imprese sono Pmi, che occupano il 75% dei lavoratori. Il 55% degli addetti è occupato nelle micro-imprese, il 24% in quelle con 10-49 addetti, il 21% nelle aziende con più di 50 dipendenti. Il Pil campano contribuisce per il 16,12% a quello nazionale. Secondo il Centro studi Confindustria nel 2020 il Pil dovrebbe registrare, a causa del Covid, una riduzione tra il 9 e 10%, con effetti meno pronunciati nel Sud (-9%) rispetto al Centro-Nord (-9,8%). Il trend crescente dell’occupazione negli ultimi dieci anni non è ancora riuscito a recuperare i valori pre-crisi 2008 e risulta ancora distante dalla media nazionale, fatta eccezione per Avellino che registra il livello più elevato. Sul fronte della disoccupazione è la provincia di Benevento, invece, che vede il valore più prossimo alla media nazionale.
Punti di forza e debolezza
L’impatto del Covid sull’economia regionale è stato sicuramente importante. Le piccole imprese della Campania hanno comunque numerosi punti di forza su cui basarsi per la ripresa. Tra questi, la posizione geografica strategica grazie alla presenza di porti, aeroporti e interporti, la presenza di lotti industriali a basso costo per investimenti, quella di poli universitari, la valorizzazione delle filiere merceologiche, i settori turismo e beni culturali e la resilienza del sistema produttivo.
Tra i punti di debolezza ci sono invece la carenza di infrastrutture materiali e immateriali, la limitata dimensione aziendale, la scarsa managerialità in ambito aziendale, la Pubblica amministrazione non sempre efficiente, le infiltrazioni criminali in alcuni settori, l’impoverimento del tessuto produttivo dovuto all’abbandono dal territorio di grandi aziende e la scarsa propensione all’internazionalizzazione
Minacce e opportunità
Fra le opportunità che le Pmi possono cogliere vi sono la digitalizzazione (come favorire la transizione digitale puntando sul rapporto tra Digital Innovation Hub, università, centri di eccellenza, Pmi e startup), come valorizzare il rapporto fra Pmi/ ed Europa, il brand made in Italy, le Zone economiche speciali (Zes) con fiscalità di vantaggio, la valorizzazione delle aree interne e le opere infrastrutturali strategiche da realizzare (alta capacità Napoli-Bari e Raddoppio Telese-Caianello).
Fra le minacce ci sono lo spopolamento con la migrazione dei giovani e l’invecchiamento della popolazione in assenza di azioni di valorizzazione in particolare delle aree interne), le aree industriali carenti dal punto di vista infrastrutturale e dei servizi, la limitata formazione professionale e come valorizzare il capitale umano aziendale.
Covid, la battuta d’arresto
Il Covid ha fatto segnare una grave battuta d’arresto dell’economia regionale, mettendo in crisi diversi comparti fra i quali in particolare moda, turismo, agroalimentare e Horeca, con un brusco calo di occupazione e investimenti. Cresce anche il debito pubblico: ciascuno di noi porta un macigno sulle spalle di oltre 43.000 euro. Più debito vuol dire anche meno redditi disponibili: nel primo trimestre 2020 i redditi delle famiglie si sono ridotti dell’8,8%.
Recovery plan e misure di sostegno
Il governo ha previsto in tema Covid e attivato strumenti di sostegno come il dl Rilancio Liquidità, la moratoria sui prestiti, il blocco di cartelle esattoriali e le procedure esecutive. Tra gli strumenti su cui puntare per sostenere la ripresa ci sono i fondi del Recovery plan, 209 miliardi di euro messi a disposizione dall’Ue per rilanciare le economie, ridurre le disuguaglianze e rafforzare i territori più deboli attraverso transizione digitale, transizione energetica e infrastrutture digitali, stradali e ferroviarie per creare le condizioni di crescita e sviluppo. “Tuttavia non ci illudiamo – avverte Pasquale Lampugnale, presidente di Piccola Industria Campania – perché il Recovery Plan ha regole ben precise in merito ai progetti, ai tempi e alle modalità di attuazione. L’Ue ha indicato un piano di riforme strutturali, sta ora quindi a noi trovare la governance migliore per attuarlo, con un coinvolgimento delle parti sociali e una visione di politica industriale del nostro paese. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi per non perdere questa occasione storica, possiamo puntare ad una percentuale di fondi del Recovery vicina al 50% ma per usufruirne fino in fondo ci vuole uno Stato con mentalità imprenditoriale e cultura del fare”.
Il divario Nord-Sud
I dati confermano inoltre il divario Nord-Sud: nel Mezzogiorno le famiglie sotto la soglia di povertà sono circa il 20%, mentre al Centro Nord solo l’8%. Il comparto manifatturiero produce 800 miliardi di euro di Pil, di cui il 20% al Sud e l’80% al Centro-Nord. Il gap è evidente, ma il Sud resta una risorsa per l’intero Paese.
Il Mezzogiorno si trova al centro di rotte fondamentali del Mediterraneo e sulla logistica e sui porti può e deve rilanciare il proprio sviluppo. La Campania in particolare ha poli tecnologici di eccellenza e settori di rilievo come Ict, automotive, aerospazio e farmaceutico, ad esempio. L’alta capacità Napoli-Bari è in corso di realizzazione, ci sono progetti che riguardano i porti e le Zes con il dimezzamento dell’Ires, il 30% di decontribuzione e il credito di imposta. La Campania, insomma, ha tutte le condizioni per attrarre investimenti e competere sui mercati. “Ma per attrarre investimenti – spiega Lampugnale – dobbiamo lavorare per avere una giustizia che funzioni, una Pubblica amministrazione più veloce ed efficiente e un maggior livello di sicurezza dei territori”.
Alle istituzioni le imprese chiedono non solo incentivi ma anche rispetto dei tempi dei pagamenti della Pubblica amministrazione, meno burocrazia, mettere le imprese in condizione di competere sui mercati internazionali e di investire al Sud almeno il 34% delle risorse, in logistica e infrastrutture, digitalizzazione, innovazione e formazione.
Aree interne
La Campania deve inoltre puntare sulle aree interne, che in Italia hanno 12 milioni di abitanti e sono caratterizzate da un processo di graduale spopolamento rispetto a quelle costiere, soprattutto da parte della fascia giovanile, con una percentuale di “Neet” molto alta e di persone che dopo la laurea non trovano occupazione e vanno via. “Bisogna investire per invertire questo trend – afferma Lampugnale – e in Campania nell’area Irpinia-Sannio stiamo riducendo il divario infrastrutturale attraverso la realizzazione di due opere strategiche come la ferrovia ad alta Capacità Napoli-Bari e la superstrada Telese-Caianello che riconsegneranno al Sannio centralità geografica e di collegamento Tirreno-Adriatico. Molte, in ogni caso, sono le opere minori che devono ancora essere completate per garantire collegamenti efficaci, come ad esempio la Fortorina, Lioni Grottaminarda e così via. Stiamo creando condizioni per lo sviluppo. Dobbiamo investire per favorire la redistribuzione della popolazione dalle aree costiere e metropolitane verso le aree interne, che offrono in generale condizioni di vita migliori. Il gap si potrà colmare solo creando lavoro e attraendo investimenti dal mondo dell’impresa e non con l’assistenzialismo”.