
di Marco Felisati, Vice Direttore Affari Internazionali e Politica Commerciale Confindustria
L’america First di Trump domina l’agenda economica internazionale. Le sue decisioni e le reazioni che stanno causando potranno avere effetti sulle nostre imprese variabili a seconda degli scenari che si delineeranno, il cui spettro trascende gli aspetti tariffari.
alcune misure stanno già incidendo, indirettamente, ma in maniera significativa, su fattori produttivi strategici, come l’approvvigionamento di alluminio, ristrettosi a seguito delle sanzioni comminate dagli Stati Uniti il 6 aprile a produttori russi.

MARCO FELISATI
La protezione che la Ue potrà mantenere in alcuni settori chiave, come l’automotive o l’agroalimentare, potrebbe risentire delle trattative per ottenere l’esenzione dai dazi Usa su acciaio e alluminio adottati il 23 marzo. ancora, ma in questo caso in senso favorevole, si potrebbe ampliare l’accesso (anche) delle nostre produzioni al mercato cinese, qualora le richieste di liberalizzazione e di tutela dei diritti di proprietà intellettuale avanzate dagli Stati Uniti sortissero risultati concreti. Altri effetti di più ampia portata potrebbero prodursi sulla regolamentazione multilaterale con una riforma della organizzazione mondiale del commercio (omc).
ad un ulteriore livello, la sfida di Trump investe la governance e le istituzioni multilaterali nel loro complesso. il quadro è dunque articolato e i suoi possibili sviluppi molteplici. Essendo il nostro sistema produttivo basato sull’industrializzazione e l’esportazione, quindi massicciamente esposto alla regolamentazione commerciale, il tema è al centro dell’attenzione di Confindustria.
Semplificando, l’offensiva degli Stati Uniti si può distinguere in due fasi. La prima ha visto l’adozione di dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, rispettivamente del 25% e del 10%. adottate per “ragioni di sicurezza nazionale”, sono apparse fin da subito surrettizie e sono state oggetto di ricorsi alla omc.
Se il vero obiettivo era ridurre il deficit commerciale statunitense e la sovraccapacità produttiva cinese, difficilmente saranno efficaci: tra i sei paesi temporaneamente esentati dai dazi figurano i primi cinque esportatori negli Usa: Canada, Ue, Brasile, Messico, Corea del Sud. Quest’ultimo paese ha già concluso l’accordo per l’esenzione. il sesto è l’argentina, che detiene una quota non rilevante dell’import Usa e che ha anch’esso concluso il negoziato per l’esenzione. La Cina esporta negli Usa poco più dell’Italia e detiene una quota di poco più del 2% per gli alti dazi antidumping già in vigore nei suoi confronti.
Se, invece, l’intento era lanciare un messaggio alla comunità internazionale e alla Cina (nei cui confronti la Ue sta per adottare misure di contingentamento sull’acciaio e ha avviato il monitoraggio per quelle sull’alluminio), è stato raggiunto: per ottenere l’esenzione, ciascuno dei sei paesi dovrà offrire agli Stati Uniti delle concessioni.
Il punto dirimente è quali e se saranno esclusive o estese agli altri 163 membri omc. Per la Ue, tra l’altro, ne va del potere negoziale che può esercitare nei numerosi accordi di libero scambio in agenda. La data inizialmente fissata al 1° maggio per concordare le condizioni è stata prorogata di un mese e la crescente irritazione di Bruxelles è la cifra di quanto sia complessa questa trattativa, che si intreccia con gli eventi della seconda fase.
Questa ha preso avvio a fine marzo con la denuncia degli Usa alla omc, secondo cui la Cina forza la cessione di know how delle imprese americane. Per compensare il danno, gli Stati Uniti sarebbero pronti ad applicare ulteriori dazi alle importazioni dalla Cina su circa 1.300 prodotti per circa 50 miliardi di dollari. L’immediata risposta cinese si è sostanziata nella no- tifica alla stessa omc di un elenco di 106 prodotti Usa, sui quali sarebbe a sua volta pronta ad adottare dazi compensativi. all’annuncio di tale contromisura, Trump ha dato mandato