Siamo alle soglie di una nuova crisi globale?
No, non siamo alle soglie di una nuova crisi di natura “sistemica”, anche perché siamo meglio preparati che in passato a prevenirla. Ma il rallentamento generalizzato delle economie è andato oltre le aspettative. L’Ocse ha appena tagliato di due decimi di punto le sue previsioni per la crescita globale, portandole al 3,0% nel 2020, il livello più basso da quando si è usciti dalla crisi finanziaria.
I fattori di rischio e i rimedi
Preoccupano l’incertezza diffusa, l’accumulo dei debiti, pubblici e privati, e l’aumento dei valori degli asset mobiliari e immobiliari. Laurence Boone, la capo economista dell’Ocse, ha rimarcato che se persisterà l’incertezza diffusa, potremmo entrare in un’era di bassa crescita. Il rimedio, oltre all’eliminazione delle tensioni commerciali, sta nel rilanciare gli investimenti in infrastrutture, profittando dei livelli estremamente bassi dei tassi di interesse dovuti alle politiche monetarie ultraespansive. Una ricetta che farebbe bene soprattutto all’Europa.
Le tensioni commerciali e la Brexit
È noto che tra le principali cause del rallentamento vi è il conflitto commerciale tra Stati Uniti e Cina, che ha raggiunto livelli mai visti prima. A ciò si aggiunge il rischio, sempre più concreto, di un mancato accordo tra Regno Unito e Unione europea sulla Brexit. Alcuni studiosi del Fondo monetario internazionale hanno elaborato un nuovo indice per misurare l’incertezza legata alle tensioni commerciali. Secondo lo studio, questa potrebbe arrivare a sottrarre circa 0.75 punti percentuali alla crescita globale nel solo 2019.
L’economia americana
Negli Stati Uniti prosegue la fase di espansione, che è tra le più lunghe nella storia del paese. La crescita prevista quest’anno intorno al 2,2% è il doppio di quella europea e si accompagna a un tasso di disoccupazione sotto il 4%. Tuttavia, mentre i consumi restano elevati, l’export e gli investimenti stanno risentendo della fase di rallentamento. Nella riunione del 17-18 settembre la Fed ha così operato la seconda riduzione del tasso sui fondi federali (dal 2,0-2,25% all’1,75-2,0%) e presentato le nuove proiezioni per l’economia. Nel 2021 il ritmo di crescita scenderebbe poco al di sotto del 2,0% e l’inflazione, ora all’1,5%, risalirebbe al valore obiettivo del 2,0%.
L’area dell’euro
Come ha annunciato Draghi lo scorso 12 settembre nella conferenza stampa a valle della riunione del Governing Council della Bce, la ripresa dell’economia dell’euro, che era attesa per questo trimestre, è rinviata. Da qui la decisione di allargare ulteriormente i cordoni della borsa inaugurando una nuova stagione di “quantitative easing” (decisione mal digerita in ambienti ‘tedeschi’). La crescita è prevista dalla Bce all’1,1% quest’anno, che si porterebbe all’1,4% nel 2021. L’inflazione resterebbe però al di sotto del target del 2%.
Le economie emergenti
Nonostante prosegua il rallentamento del gigante cinese, il gruppo delle economie emergenti e in via di sviluppo continua nel suo complesso a dare un contributo importante alla crescita globale. Tuttavia dal 2007 al 2018 il debito aggregato di questi paesi è cresciuto dal 17 al 51%, favorito anche dai bassi tassi di interesse.
Questo limiterà gli spazi di manovra per nuovi investimenti, che sono infatti previsti dalla Banca mondiale sotto la media storica almeno sino al 2021. Lo stock relativamente elevato di debito rappresenta anche una fonte di potenziale instabilità qualora le condizioni dell’economia globale dovessero volgere al peggio e i tassi aumentare a fronte della percezione di un accresciuto rischio finanziario.
Prossimi appuntamenti
Per saperne di più sullo stato di salute dell’economia globale – e soprattutto sulla direzione che prenderanno le politiche economiche – occorrerà attendere i prossimi meeting annuali del Fmi e della Banca mondiale, che si svolgeranno dal 14 al 20 ottobre a Washington DC. In quella sede verranno fornite le nuove stime e proiezioni di crescita per i maggiori paesi e aree del mondo. Inoltre alla fine di ottobre Mario Draghi passerà il testimone a Christine Lagarde alla guida dell’istituto di Francoforte. Si vedrà allora se le aspettative di quelli che prevedono una sostanziale continuazione della politica di Qe verranno o meno confermate.