Il salumificio Bordoni è un’azienda famigliare nata nel 1997 e affermatasi nel distretto della Valtellina con un prodotto apprezzato sia in Italia sia all’estero: la bresaola. “L’azienda nasce dall’intuizione di mio padre, che ha voluto commercializzare la bresaola che mio nonno produceva e vendeva nella macelleria di famiglia”, racconta Barbara Bordoni, che segue con particolare attenzione export e qualità. Proprio l’export è uno dei cavalli di battaglia del salumificio. Infatti, grazie allo studio dei mercati emergenti e al coraggio di esportare la bresaola in luoghi ancora piuttosto inesplorati, come per esempio il Medioriente, l’azienda è cresciuta nei paesi di religione musulmana, dove la bresaola è consentita in quanto carne di manzo. L’alto potere d’acquisto di agglomerati urbani di notevoli dimensioni e le potenzialità di crescita di una classe media sempre più attenta alla qualità del cibo, e sicuramente interessata al made in Italy, hanno fatto il resto.
Da dove siete partiti per diventare una delle aziende leader nella produzione di bresaola in Medioriente?
Una volta stabiliti gli obiettivi e individuati i percorsi da seguire, abbiamo approcciato concretamente questi paesi. Si è trattato, innanzitutto, di certificarsi Halal, ma soprattutto di affrontare il mercato coniugando l’appeal del made in Italy con una forte attenzione alle esigenze locali. Una piccola grande rivoluzione in questo senso è stato l’utilizzo di packaging dedicato in lingua araba, come segno di accortezza sia per il consumatore sia per l’operatore dei paesi di destinazione. Una dimostrazione di rispetto verso questa cultura, che ci ha premiato con positive e immediate risposte.
Quanto conta per voi l’export?
Oggi intorno al 5% del fatturato. Ancora troppo poco. Ma è un dato in forte e costante crescita. Purtroppo, il successo nel nostro settore non dipende solo da noi: è infatti condizionato da barriere sanitarie e complicazioni doganali che al momento ci precludono i mercati più interessanti. Le difficoltà legate alle barriere non tariffarie per la bresaola, come per il settore dei salumi più in generale, emergono chiaramente anche dal capitolo dedicato al nostro comparto nel Rapporto Centro Studi Confindustria -Prometeia, “Esportare la dolce vita”, alla cui realizzazione quest’anno abbiamo contribuito per la prima volta con la nostra associazione di categoria, l’Assica. Secondo quanto emerge dal Rapporto, le opportunità di export per il settore dei salumi potrebbero essere molto più consistenti. Gli Emirati Arabi Uniti, per esempio, da qui al 2021 diventeranno il primo mercato di riferimento, tra gli emergenti, per i prodotti belli e ben fatti italiani, ma saranno solo al quarto posto per i salumi. Nella classifica di accessibilità dei mercati, inoltre, l’Arabia Saudita, è al ventiduesimo posto su trenta, confermandosi uno dei paesi meno accessibili. Le difficoltà dunque non mancano, ma non mancano neppure il coraggio e la determinazione necessari per vincerle.
Eppure siete riusciti ad affermarvi in paesi come questi, che hanno anche tradizioni alimentari, religiose e culturali molto diverse dalle nostre.
È vero, tradizioni e abitudini sono molto diverse dalle nostre, ma l’utilizzo di carne e salumi di origine bovina è diffuso e la popolazione con alto potere d’acquisto ed elevata predisposizione al consumo è ben disposta verso questi prodotti che rappresentano e trasmettono lo stile di vita italiano. Al momento, le vendite avvengono quasi esclusivamente attraverso l’offerta ristorativa-alberghiera che in questi paesi ha avuto e ha un fortissimo sviluppo. Il passaggio attraverso il canale Ho.Re.Ca. ci consente, inoltre, di utilizzare una dotazione logistica e commerciale idonea a gestire la catena del freddo, essenziale per le caratteristiche fisiche dei nostri prodotti. Questo è un aspetto non trascurabile perché l’assenza di un’adeguata dotazione purtroppo ostacola la crescita delle nostre esportazioni in molti mercati emergenti.
Come è nata l’intuizione di portare la bresaola nei mercati emergenti?
Siamo partiti dalla necessità di aprirci a nuovi mercati e dallo studio delle potenzialità dei paesi target. In questo contesto il Medioriente, in particolare Dubai, dimostra di poter rappresentare un’ottima opportunità, soprattutto partendo dal canale Ho.Re.Ca. Una tendenza, questa, che non solo si è confermata, ma è destinata a rafforzarsi. Un esempio: grazie a Expo Dubai 2020 e ai Mondiali di Calcio in Qatar nel 2022, questi luoghi saranno al centro dell’attenzione e saranno anche un’ottima vetrina per i nostri prodotti, soprattutto presso i consumatori mediorientali.
Quanto è importante il rapporto con le comunità locali dei paesi in cui operate?
È sempre fondamentale: consente infatti di accorciare i tempi di penetrazione nel mercato e di ottimizzare le risorse. Lo è in modo particolare in paesi come l’Arabia Saudita dove esistono resistenze piuttosto forti dovute agli attuali delicati rapporti diplomatici internazionali. In questi paesi è stato vitale creare una relazione con gli imprenditori locali, portando il know-how delle nostre imprese agroalimentari: li abbiamo seguiti in ogni dettaglio, dedicato tempo per formarli. Tempo che si è rivelato fruttuoso, visto che oggi abbiamo una presenza importante.