Cosa significa applicare la sostenibilità alla tecnologia?
Significa ridurre “l’impronta ecologica”, ovvero sviluppare processi che costino poco non soltanto in termini di produzione, ma anche in termini di impatto sull’ambiente per il futuro. Non possiamo trascurare, infatti, il costo della riparazione di un danno prodotto da una manifattura nel tempo, anche se questa inizialmente è più economica, perché ciò vuol dire che il suo costo complessivo sarà stato superiore. Occorre puntare a una manifattura che sia rispettosa delle risorse – acqua, energia – e che inquini poco.
Un esempio?
Utilizzare lo scarto di una produzione per realizzare il packaging del prodotto stesso. È il caso tipico degli alimenti. Se consideriamo il prezzemolo, il 70% è scarto in quanto
usiamo solo le foglie mentre i gambi per essere smaltiti correttamente vanno deidratati. In realtà quei gambi sono ricchi di polimeri di cellulosa, che può essere adoperata per produrre la confezione nella quale si vende il prezzemolo. Alla base di tutto vi sono tecnologie attinenti alla chimica e alla fisica dei materiali, ma servono naturalmente investimenti anche nella logistica e nel modo stesso di produrre, che deve incorporare il principio dell’economia circolare.
Ultimamente si parla molto di intelligenza artificiale, talvolta prefigurando scenari in cui le macchine potranno sostituire l’uomo. A che punto siamo?
L’intelligenza artificiale è una conseguenza dello sviluppo delle nanotecnologie. Le tecnologie che hanno consentito di costruire transistor sempre più piccoli sono le stesse che hanno conferito alle macchine una capacità di calcolo talmente elevata da cominciare a diventare paragonabile a quella di un cervello umano.
A questo punto ci siamo resi conto che molti dei lavori di routine – e sottolineo routine – sia manuale che intellettuale possono essere in larga parte supportati da macchine intelligenti. Ma non è un fenomeno nuovo. La macchina a vapore ha sostituito il bue e il contadino che tirava l’aratro è diventato magazziniere. La differenza con il passato è un’altra.
Quale?
La velocità. La tecnologia evolveva con lentezza e la società aveva il tempo di metabolizzare l’innovazione. Oggi la crescita è molto rapida e nell’arco di tempo di una generazione cambia tutto. Diventa più difficile chiedere a una persona di cambiare mestiere perché il nuovo lavoro richiede competenze più elevate. Per riprendere l’esempio precedente, non sto dicendo al contadino di fare il magazziniere ma di diventare programmatore elettronico.
Dobbiamo quindi prendere atto che l’innovazione cresce con una rapidità di fronte alla quale oggi siamo impreparati, come società, sistema produttivo, sistema scolastico.
La vera sfida allora è quella di stimolare la società, attraverso un’alleanza pubblico-privato, a investire nell’intelligenza del cittadino e a predisporlo alla formazione e all’aggiornamento costanti. La scuola non abitua al cambiamento, i miei figli studiano le stesse cose che ho fatto io, ma la mia generazione non aveva il computer, oggi usano il touch screen.
Questa velocità è destinata a durare?
Secondo me il meccanismo è quello della staffetta: le tecnologie saturano e cambiano dominio. Ci sono dei periodi di incremento esponenziale, poi il testimone passa a una disciplina che ha preso velocità dallo sviluppo delle precedenti.
Il Novecento è stato il secolo della fisica e poi della chimica. Io credo che in futuro lo sviluppo maggiore lo avremo nella medicina e in questo campo il digitale è solo uno strumento, un cacciavite. La medicina predittiva o quella personalizzata non sono altro che applicazioni del digitale alle scienze della vita.