Le criticità ci sono e vanno affrontate, ma con l’obiettivo di restare fra i grandi paesi industriali. Dalle Assise Generali di Verona un grande messaggio di fiducia che non va disperso
di Innocenzo Cipolletta, Presidente Aifi
Che immagine abbiamo noi dell’Italia? Se si deve rispondere a questa domanda senza troppo riflettere, la risposta è spesso molto negativa.
Il nostro Paese ci appare lento nell’adeguarsi ai tempi moderni, in affanno nei conti pubblici, oberato da una burocrazia paralizzante, incapace di creare lavoro per tutti i giovani, che devono prendere la via dell’espatrio per poter trovare un’occupazione. E si potrebbe continuare con le lamentele.
Questa è l’immagine del nostro scontento, che ha molte basi di verità ma che, se adottata acriticamente, finisce per farci precipitare nella frustrazione di chi sente di non potercela mai fare senza interventi straordinari, quasi rivoluzionari. Da qui, anche da qui, un forte rifiuto di tutta la classe dirigente del Paese, il misconoscimento del nostro patrimonio di competenze e dei molti progressi fatti fin qui e, quindi, il rifugio con il voto politico presso coloro che promettono una palingenesi attraverso il ricorso al “nuovo” non meglio identificato.
Che si debbano modificare atteggiamenti e comportamenti per far crescere adeguatamente il nostro Paese, non vi sono dubbi. Ma la riuscita di questa impresa passa necessariamente per il riconoscimento del molto di buono che abbiamo, come base indispensabile per poter progredire.
Dannare tutto il nostro passato, recente e lontano, come un errore da cancellare può essere un espediente di qualche politico senza scrupoli per acquisire consenso e voti, ma è un’operazione errata e dannosa di cui poi si pagano le conseguenze. Ho letto le Assise Generali di Confindustria, svoltesi a Verona a metà febbraio, come un recupero di orgoglio di un paese e della sua impresa volto a sottolineare il progresso fin qui fatto, malgrado le difficoltà, e la decisa volontà di operare per un futuro che tenga l’Italia nella schiera dei grandi paesi industriali.
Questa deve essere la nostra ambizione, con la consapevolezza che abbiamo tutte le carte in regola per competere. Abbiamo imprese competitive che assicurano al Paese un largo avanzo nei conti con l’estero. Abbiamo centri di ricerca capaci di sfidare quelli di altri paesi, malgrado l’esiguità delle risorse impegnate.
Abbiamo lavoratori capaci di adattarsi alle nuove tecnologie e di sfruttarle per produzioni uniche, studiate apposta per i clienti, ciò che difende la nostra produzione sui mercati mondiali ben più che un tasso di cambio al ribasso o un dazio doganale improvviso.
Confindustria si apre sempre più alla concorrenza e sollecita una piena adesione a un’Europa integrata. Questa ambizione è stata poi ribadita dalla sottoscrizione, a fine febbraio, di un Manifesto a favore dell’Europa firmato da tutte le principali associazioni d’imprese (Assonime, Abi, Ania, Febaf, oltre a Confindustria), volto a ribadire che l’Europa è il nostro ambito istituzionale di riferimento e che all’Europa l’Italia deve partecipare pienamente, assumendone gli impegni, proprio per poter chiedere agli altri paesi di fare la loro parte.
Di questa opinione sono tutte le imprese italiane. Noi come Aifi abbiamo sottoscritto il Manifesto attraverso la Febaf e siamo consapevoli della necessità di partecipare attivamente alla costruzione della nuova Eurozona, dopo l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. Una partecipazione che sarà tanto più forte se la nostra economia saprà crescere al ritmo delle altre.
Per fare questo è necessario, in questa fase, fornire adeguati capitali alle imprese, superando la dipendenza dal credito.
Questa è la missione delle imprese della finanza alternativa, associate in Aifi, che provvedono a trasformare i risparmi delle famiglie in capitale di rischio e di debito per le imprese, al fine di farle crescere e produrre nuovi redditi e nuovi risparmi: in altre parole a rimettere in moto la spirale virtuosa della crescita che trasforma il risparmio in investimenti, lavoro e redditi. Solo avendo la consapevolezza della nostra capacità e della nostra storia, anche di quella recente, sarà possibile per l’Italia riprendere quel ruolo che le compete nell’Europa e nel mondo.