Questa manovra va presa come un primo passo, non per restituire il favore elettorale ai cittadini, ma per rassicurarli che il messaggio dato con le elezioni sia stato ben recepito. Da imprenditore, e non da politico, non avrei avuto nessun dubbio nel mettere tutti i soldi disponibili per la riduzione del cuneo fiscale perché in questo modo invece che crescere dell’1% o dell’1,5%, l’anno prossimo probabilmente saremmo arrivati al 3%. L’impegno massimo, praticamente totale da qui in avanti, sarà ridurre il cuneo fiscale per aumentare il Pil.
Invece il ruolo dell’impresa nella società, come attivatore della crescita, non sembra al centro dell’attenzione del governo. Dopo le elezioni del 4 marzo da cui è uscita un’Italia tripolare, il nostro è un tentativo di governo politico con al centro una azione comune basata su punti di contatto. È ovvio, però, che le origini sono diverse ed ogni partito rappresenta istanze diverse con punti di forte differenza. Tuttavia i cittadini hanno dato delle indicazioni precise sulle priorità da seguire: la Lega si è principalmente impegnata sulla questione immigrazione e sicurezza e il Movimento 5 stelle sulle questioni sociali. Capisco che per chi fa impresa possa sembrare riduttivo, ma dal punto di vista di chi fa politica l’interesse va verso i problemi che i cittadini hanno indicato in maniera chiara come priorità.
Un coro di dissenso delle imprese afferma che la manovra non porterà crescita. Qual è la sua visione?
Qualcosina per la crescita questa manovra la fa, anche attraverso quei tre cardini che assorbono gran parte delle risorse. Il reddito di cittadinanza può essere visto da un punto di vista assistenziale ma dobbiamo prendere atto dell’enorme numero di poveri in senso assoluto che ci sono nel Paese. La nostra visione è che dovrà essere simile ad un reddito di reinserimento, adeguatamente gestito. Il suo valore di 9 miliardi, dopo l’assorbimento del Rei e una parte che rientra con l’Iva allo Stato, scende a circa 4-5 miliardi e andrà ad incidere sui consumi perché saranno spesi subito in beni italiani, alimentare e un po’ di abbigliamento e bollette. La flat tax, poi, seppure dedicata solo alle partite Iva, è un primo passo sulla riduzione delle tasse. Mi auguro possa servire alle nuove imprese, alle start up di giovani, a superare i primi anni dal loro avvio. A non scoraggiarle, per evitare che tutti i ricavi vadano in tasse.
Con la revisione della legge Fornero, infine, cerchiamo di rimediare al disastro sociale fatto in questi anni. Porterà maggiore turnover?
C’è solo un modo per creare posti di lavoro ed è con l’aumento del Pil. Negli ultimi dieci anni le imprese che sono riuscite a superare la crisi hanno attuato un’asciugatura di personale tale che se dovessero liberarsi dei posti – grazie alla revisione delle regole sulle pensioni – nuove assunzioni sarebbero indispensabili alla produzione.
Quindi un minimo di turnover tra le persone che vanno in pensione e quelle che entrano sicuramente ci sarà. Mi auguro che chi ha parlato di un rapporto di uno a tre abbia ragione; ma secondo me la sostituzione sarà diretta uno ad uno, al massimo si potrà sostituire un lavoratore “anziano” con due giovani.
Da imprenditore posso dire che il rapporto tra imprenditori – non prenditori – e dipendenti è molto diverso da quello che qualche esponente politico ha in mente perché vuol dire che in fabbrica non hanno mai messo piede. Per gli imprenditori, da chi ha un dipendente a chi ne ha diecimila, le risorse umane sono la cosa più importante.
La manovra ha un margine di modifica in Parlamento?
Modifiche rilevanti io credo di no, la sostanza rimarrà questa. Tuttavia l’Italia non ha interesse a uno scontro frontale con l’Europa, ma anche l’Europa non vuole scontrarsi con l’Italia.
Se ci sarà bisogno siamo disponibili a spiegare meglio alcune cose, che non vuol dire tenere in maniera arrogante la nostra posizione, ma far capire che l’Unione Europea in questo momento sta sbagliando, perché altri paesi hanno superato il 2,4% e l’Ue non ha mosso un dito.
È ovvio che sia una questione politica per- ché i fondamentali dell’Italia sono gli stessi. In questo momento il nostro paese ha gravi problemi: 5 milioni di poveri, quasi un milione di immigrati; abbiamo bisogno di maggiore flessibilità. Credo che alla fine si troverà una quadra. Internazionalizzazione e grande industria primaria: il Mise sta portando avanti importanti missioni internazionali come Cina e India. L’export sta rallentando mentre invece ha salvato il paese negli anni di crisi.
Quali azioni state promuovendo?
Posso dire che c’è assoluta convergenza tra i partner di governo sul tema inter- nazionale. La caratteristica delle nostre imprese, che sono mediamente più piccole dei concorrenti di altri paesi, non gli impedisce di avere un’alta vocazione all’export. La nostra impresa grande in realtà è una medio-piccola per i parametri tedeschi e le nostre piccole non esistono in Germania; nonostante questo abbiamo aziende di 15 persone che esportano in Giappone e in Sudamerica. Serve forza commerciale ed economica, ed è il sistema paese che può aiutare una impresa piccola come la nostra. La nostra industria presenta una serie di criticità ma anche di potenzialità ma con una azione più efficiente e coordinata potremmo fare molto di più. Ecco, in questo senso dobbiamo continuare questa vocazione di paese orientato all’export e per questo c’è la politica, la diplomazia, gli accordi internazionali e la capacità di promozione all’estero.
Infine il caso Ilva e un focus sui tavoli di crisi. Come pensate di gestirli?
Nei tavoli di crisi si gioca spesso di rimessa. Negli ultimi anni non abbiamo valutato in maniera adeguata quello che mettevamo sul tavolo: il valore di un’azienda in crisi può apparire risibile mentre l’investitore estero interessato in realtà si compra un pezzo d’Italia, un pezzo di mercato. Come ad esempio nel caso di Piombino dove erano in ballo il porto e la concessione portuale. Acquisire un’azienda italiana in crisi permette di far diventare un semilavorato un prodotto made in Italy. Quindi quello che noi mettiamo sul tavolo è qualcosa che vale molto di più di quello che noi per primi pensiamo. Il salto di qualità deve essere questo: essere coscienti dei propri limiti senza svalutare le enormi potenzialità dell’impresa, l’optimum sarebbe poi che le aziende in crisi potessero acquisirle altre aziende italiane. Con il caso Ilva si è chiusa una partita con successo. Non si è stravolto l’accordo in essere ma sono stati raggiunti importanti obiettivi dal punto di vista ambientale e occupazionale. È un primo esempio di come impostare le trattative ovviamente con la speranza e la volontà in futuro di ridurre al minimo situazioni come questa. Bisogna cominciare a girare il timone ed invertire la rotta.