L’ultima novità è contenuta nell’intesa che Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno firmato il 9 marzo. Il “Patto per la Fabbrica”, con cui le parti sociali gettano le basi per ammodernare il sistema delle relazioni industriali, inserisce il welfare aziendale nella contrattazione collettiva nazionale, fra gli strumenti per incrementare la produttività delle imprese e migliorarne la competitività.
“Il trattamento economico complessivo (Tec) – si legge nella nota – sarà costituito dal trattamento economico minimo (Tem) e da tutti quei trattamenti economici, nei quali sono da ricomprendere fra gli altri anche le eventuali forme di welfare, che il contratto collettivo nazionale di categoria qualificherà come ‘comuni a tutti i lavoratori del settore’ a prescindere dal livello di contrattazione a cui il medesimo contratto collettivo nazionale di categoria ne affiderà la disciplina”.
Si punta in questo modo a favorire lo sviluppo di un welfare contrattuale integrato e coordinato che consenta, come sottolineano le parti sociali, “una maggiore universalità delle tutele, anche nei settori privi di specifiche iniziative”. Uno strumento in più, insomma, che integra e non si sostituisce al welfare pubblico, del quale Confindustria e Cgil, Cisl, Uil ribadiscono necessario salvaguardare il carattere universale.
Ma come funziona il welfare aziendale? Il quadro normativo è quello messo a punto con la Legge di Stabilità 2016, che ha disegnato la mappa degli incentivi fiscali legati alle iniziative aziendali volte al benessere dei lavoratori e che ha introdotto la possibilità di convertire in servizi di welfare i premi di produttività.
In pratica, l’insieme dei benefit inclusi nel piano di welfare – fino a un determinato tetto di spesa che varia per ciascuna tipologia – non concorre alla formazione del reddito imponibile ai fini fiscali e previdenziali in capo al dipendente. Il pacchetto va messo a disposizione di un gruppo omogeneo di individui e non sono consentite erogazioni di beni e servizi “ad personam”. Per quanto riguarda il premio di produzione, esso beneficia di una tassazione al 10% fino a 3mila euro; qualora si opti per la riconversione in misure di welfare si ha diritto alla detassazione integrale. Diverse le aree di intervento: si va dai contributi per l’assistenza sanitaria integrativa ai contributi per la previdenza complementare (entrambi assoggettati ai fini previdenziali a un contributo di solidarietà del 10%), dal servizio mensa o erogazione di buoni pasto alle spese sostenute per l’educazione e l’istruzione dei figli (asili nido e scuole di ogni ordine e grado, ma anche università e master). E ancora, dalle spese per attività ricreative, culturali e sportive fino all’assistenza ai familiari anziani o non autosufficienti.
Con le successive leggi di bilancio è stato ampliato il paniere dei servizi disponibili, includendo nel 2017 le assicurazioni per la non autosufficienza e per le malattie gravi e nel 2018 le spese relative al servizio di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale sostenute dal dipendente.
Quest’ultima novità favorisce in particolare le Pmi in quanto decade l’obbligo di stipulare una convenzione con una società di trasporto, nel caso il servizio non venga erogato dal datore di lavoro medesimo; un vincolo, questo, che riduceva le probabilità di offrire il servizio a causa della minore forza contrattuale di una piccola impresa.
Tra gli aspetti più qualificanti della normativa, inoltre, vi è il fatto che l’input a istituire un piano di welfare può provenire non soltanto dall’impresa, ma anche da un accordo aziendale, il che rafforza il ruolo della contrattazione di secondo livello.
Più in generale, il welfare aziendale si presenta come uno strumento vincente per entrambi i soggetti in gioco: da un lato infatti, l’impresa incrementa la produttività, riduce il costo del lavoro e riesce, in prospettiva, a fidelizzare i collaboratori; dall’altro lato, il dipendente aumenta la propria capacità di spesa e, grazie ai servizi ottenuti, concilia più semplicemente lavoro e vita privata.
Con il "Patto per la fabbrica" firmato da Confindustria, Cgil, Cisl e Uil la contrattazione collettiva potrà includere benefit a servizio dei lavoratori accanto alla componente salariale