“Il mercato non potrà fare a meno di venditori: saranno diversi da quelli del passato, ne serviranno meno, ma solo pochissime aziende potranno farne a meno”. Stefano Casula, 62 anni, ha le idee chiare e una certa esperienza nel settore: è il responsabile delle relazioni industriali della Wurth, azienda specializzata nella vendita di prodotti per il fissaggio e l’assemblaggio, nonché il vicepresidente della sezione Distribuzione di Unindustria Lazio.
Quella del commerciale – o agente di vendita – è una delle professioni che maggiormente deve saper affrontare il cambiamento in atto. Per qualcuno è addirittura a rischio estinzione. È così?
Si parla tanto di Industria 4.0. Forse i venditori pensano che questa non li tocchi, forse pensano sia qualcosa che riguarda solo i processi produttivi. Ebbene, questa rivoluzione industriale riguarda anche e soprattutto chi lavora nel mondo delle vendite. Va a collocarsi proprio in quei processi fino ad oggi, forse fino a ieri, appannaggio della forza vendita tradizionale.
Queste attività si basano proprio sull’innovazione tecnologica dei processi: poi l’ulteriore sviluppo di tale rivoluzione porterà a integrare ancora di più il rapporto tra le aziende, escludendo via via l’intervento del responsabile di vendita. Insomma: il rischio c’è.
Come arginarlo?
Parliamo di una professione che è sempre stata complessa. La stessa definizione, “venditore”, è un retaggio del passato e non è stata aggiornata. Si riferisce al ruolo come di un “portatore d’acqua”, mentre negli anni è diventato sempre più un consulente. All’inizio si trattava forse di una parola grandiosa, ma con pochi contenuti.
L’avvento della grande rivoluzione digitale, dell’informazione diffusa e globalizzata, ha portato il venditore classico a dover modificare il proprio ruolo. Oggi deve relazionarsi con un cliente che spesso, in alcuni casi, ne sa più di lui perché si è già informato.
La soluzione? Apprendere le nuove tecnologie ma cavalcandole, viverle in prima persona, e attraverso queste individuare la parte fondamentale della relazione, saper ascoltare in profondità. E, attraverso gli strumenti, trovare una soluzione che possa soddisfare il cliente.
Come impatta la tecnologia sulla professione?
La rivoluzione scatenerà, e forse ha già scatenato, uno scontro fra generazioni di commerciali: la vecchia classe non è adeguata ai nuovi scenari, mentre la nuova generazione manca di quell’esperienza indispensabile per ottenere i risultati necessari alle aziende. Molti posti di lavoro spariranno per effetto di questo scontro. La tecnologia impatta, dunque, in maniera violenta perché può costringere un venditore non preparato a dimenticare che la componente umana è molto importante. Non si può delegare il proprio lavoro alla tecnologia perché questa è solo un amplificatore delle proprie capacità di relazione.
Qual è l’errore da non fare?
Il commerciale deve imparare a non compromettere il proprio sapere, evitando di farsi trascinare in un imbarbarimento della comunicazione. Il contenuto è più importante dell’immediatezza. Sarebbe rischioso se dialogassimo in modo sintetico e “in tempo reale”, magari comunicando attraverso i social media e dimenticando il valore di una lettera commerciale ben scritta. Il concetto decisivo è che il cliente ha bisogno di sentirsi importante. È il farsi apprezzare, stabilire con lui un rapporto personale ed emozionale, il risultato a cui tendere e il valore aggiunto per cui egli è disposto a pagare un sovrapprezzo. L’aspetto umano non può essere sostituito.
A questo proposito, quali contraddizioni evitare?
Prima fra tutte la miopia di molti imprenditori che tendono a risolvere i problemi legati all’innovazione acquistando tecnologia e software. Dimenticano che il software dell’innovazione, nel comparto delle vendite, sono le risorse umane e che queste devono essere coinvolte e rese protagoniste del cambiamento. Non basta acquistare un potente computer per accrescere la produttività di un reparto. Bisogna “allenare i cervelli” dei collaboratori e formarli.
La soluzione è il mix tra tecnologia e aspetto umano, dunque?
Il metodo è la giusta commistione. La capacità di rendere lo strumento aumentativo dei propri effetti, senza delegare la tecnologia a svolgere il proprio lavoro. Al giorno d’oggi si nota questo scollamento. Lo vedo sempre più diffuso: come una volontà di abdicare, di perdere il valore aggiunto. L’impatto della tecnologia sta svuotando il contenuto della professione: utilizzarla piuttosto che valorizzarla è più facile, comodo, veloce. Ma non nel lungo periodo perché è mantenere un livello alto di relazione che può fare la differenza.
Un altro aspetto su cui nel futuro bisognerà lavorare è quello della premialità. Ancora oggi la politica remunerativa della rete vendita viene gestita con il vecchissimo metodo dell’Mbo. Questo nonostante sia cambiato tutto. Ma ci sono iniziative commerciali che durano anche un’ora e situazioni sempre più stressate nei tempi. Credo che il trattamento degli agenti e degli obiettivi dovrebbe essere re-ingegnerizzato, attraverso nuovi algoritmi e nuovi aspetti dinamici.
Un’idea rivoluzionaria, e come tale destinata forse a non essere subito compresa, sarebbe abolire i target di vendita e lasciare liberi noi commerciali di realizzare i risultati in assoluta autonomia, premiando chi arriva più lontano e chi va più veloce. Credo che il metodo “T.E.M.P.O.” (Target in endless mode, progressive and organized, ndr) possa essere la risposta a tutto questo.