Una delle classiche domande che ci si pone in tema di passaggio generazionale è la seguente: “Saranno capaci gli eredi di raccogliere il testimone dai propri genitori?”. Si pone l’attenzione sulle capacità delle nuove generazioni di portare avanti quanto costruito dalle precedenti, dando per scontato che da parte dei giovani ci sia la volontà di raccogliere l’eredità imprenditoriale.
Il tema della volontà è posto in secondo piano rispetto a quello della capacità; semmai ci si interroga sulla volontà dei predecessori di fare spazio ai successori. Ci siamo quindi posti la seguente domanda: in che misura questa nuova generazione ha intenzione di entrare nell’impresa di famiglia e avviare un percorso di progressivo avvicinamento alla leadership?
Il progetto GUESSS
Per potere rispondere alla domanda, abbiamo utilizzato i dati raccolti nell’ambito del progetto GUESSS (Global University Entrepreneurial Spirit Student’s Survey). Si tratta di un’iniziativa di ricerca nata diversi anni fa su iniziativa dell’Università di St. Gallen (Svizzera). Nell’ambito del progetto, circa ogni due/tre anni vengono raccolti dati sulle intenzioni di carriera degli studenti universitari di tutto il mondo, Italia compresa.
Nel nostro Paese, la raccolta dati è gestita dal CYFE (Center for Young and Family Enterprise) dell’Università di Bergamo e all’ultima edizione, quella del 2021, hanno aderito 19 università italiane.
Il nostro Family Business Lab (FABULA) dell’Università Cattaneo – LIUC e il CYFE dell’Università di Bergamo hanno così unito le forze per estrarre dall’intero dataset i casi degli studenti che fossero anche figli di imprenditori per sapere che intenzioni avessero a cinque anni dalla loro laurea. Si tratta di circa 550 casi in Italia e circa 42mila nel resto del mondo. Dove si vedono questi giovani fra cinque anni?
Un risultato preoccupante
Il risultato è stato per certi versi preoccupante per quelle famiglie che puntano alla continuità imprenditoriale: in Italia, solo 1 studente su 10 ha intenzione di entrare nella propria impresa familiare entro cinque anni dalla fine degli studi universitari. La maggior parte dei figli di imprenditori sembrano essere orientati verso una carriera da dipendente o verso il lancio di una nuova impresa.
Vero è che magari la vocazione più arrivare più tardi, lontana dai banchi delle università, dopo avere fatto qualche anno di esperienza da dipendente o da imprenditore, ma in ogni caso il dato sembra chiaro. Non è un dato figlio della crisi: è lo stesso dato che emerge dall’indagine svolta nel 2016. E non è un allarme tutto italiano, perché la percentuale all’estero è persino più bassa.
C’è da chiedersi quindi se ci sono delle ragioni che possono spiegare questo fenomeno. Che cosa frena la volontà di ingresso nell’impresa familiare? E cosa si può fare dunque per aumentare la propensione dei giovani all’ingresso nell’impresa di famiglia? La risposta si può trovare in parte analizzando i dati a disposizione e in parte riferendoci agli studi accademici e alle esperienze professionali maturate in questi anni.
La dimensione individuale
Innanzitutto, ci possono essere delle ragioni di natura individuale, come un basso interesse da parte del giovane per il business in generale o verso il settore in cui opera l’impresa di famiglia; oppure ancora una scarsa identificazione con la propria famiglia e con l’impresa familiare.
Le famiglie non devono assolutamente forzare l’interesse per il business, né è opportuno che lavorino sull’identificazione dei giovani nell’impresa. È opportuno che ognuno possa esprimere liberamente la propria essenza. Si può, però, favorire la familiarizzazione col business, sin dall’adolescenza, per arrivare ad una decisione di ingresso o meno in modo il più possibile consapevole.
La dimensione familiare
Inoltre, possono esserci ragioni di natura familiare a scoraggiare l’ingresso. Ci riferiamo innanzitutto alla presenza di conflittualità sia intra-generazionali (fra fratelli, fra cugini) sia inter-generazionali (fra genitori e figli, fra nonni e nipoti). In secondo luogo, ci riferiamo ad un clima familiare di scarsa fiducia da parte degli anziani nei confronti dei giovani.
Sul piano familiare, ciò che si può e si deve fare è dunque evitare l’insorgenza di conflittualità attraverso l’adozione di strumenti di governance come gli accordi di famiglia e il consiglio di famiglia. Inoltre, occorre che i più anziani diano sufficiente fiducia a queste nuove generazioni: i più giovani possono infatti contribuire allo sviluppo dell’impresa attraverso competenze, conoscenze e attitudini complementari rispetto a quelle della generazione precedente.
La dimensione aziendale
Infine, possono esserci ragioni di natura aziendale. I giovani tendono a stare lontani da business maturi, operanti in settori tradizionali, e da business le cui performance non sono brillanti. Su questo piano, sarebbe impossibile chiedere alle famiglie imprenditoriali di fermare il tempo o di performare meglio (è ovvio).
Ciò che si può fare quindi è ragionare su cosa cercano quei 9 giovani su 10 che non vogliono entrare nell’azienda di famiglia e cercare di soddisfare le proprie esigenze all’interno dell’impresa familiare. Alcuni cercano la possibilità di essere imprenditori, e quindi si può e si deve concedere loro spazi di imprenditorialità interna: affidare loro progetti di innovazione o di internazionalizzazione è la strada ideale per potere consentire loro di esprimere la propria imprenditorialità.
Altri invece cercano la formalizzazione dei sistemi operativi che si trova nelle grandi imprese non familiari: chiarezza dei ruoli e delle politiche di ingresso, di carriera e di retribuzione. Sono politiche che consentono alla generazione Z di pianificare il proprio futuro e raggiungere un soddisfacente work-life balance, due cose a cui i giovani d’oggi tengono molto.
Conclusioni
In conclusione, ci auguriamo due cose. Innanzitutto, che la generazione attualmente alla guida delle imprese familiari si impegni per rendere più attrattive le imprese controllate agli occhi dei giovani, familiari e non. In secondo luogo, che ci si renda conto del fatto che è sempre più probabile dovere passare il testimone a soggetti esterni alla famiglia: una verità forse difficile da digerire, che richiede una grande preparazione per evitare che l’azienda venga ceduta (in termini di proprietà e/o di leadership) quando ormai è troppo tardi.
Nota sugli autori
Salvatore Sciascia è professore ordinario di Economia aziendale presso la LIUC – Università Cattaneo, nell’ambito della quale è il delegato del Rettore alla Ricerca ed è co-direttore di FABULA, il Family Business Lab.
Svolge attività didattica, di ricerca e di consulenza sulla strategia delle imprese familiari. È membro della Core Faculty della LIUC – Business School.
Valentina Lazzarotti è professore ordinario presso la Scuola di Ingegneria Industriale della LIUC – Università Cattaneo, nell’ambito della quale è delegato del Rettore al Piano strategico di ateneo ed è co-direttore di FABULA, il Family Business Lab.
Svolge attività didattica e di ricerca nell’ambito dell’Innovation Management, con particolare attenzione alle imprese familiari. È componente della Core Faculty della LIUC – Business School.