Come si stanno comportando le Pmi italiane in Horizon 2020? Ed in particolare, a ridosso della valutazione di metà percorso di H2020, cosa possiamo scrivere dell’implementazione dell’Sme Innovation Instrument?
Tre considerazioni e qualche idea per il futuro.
1. Le nostre aziende se la stanno cavando bene. Dopo un inizio in cui la performance dell’Italia non era stata entusiasmante, le cose sono migliorate.
Oggi possiamo dire di riportare in Italia circa il 10% del budget stanziato dalla Commissione e gestito da Easme nel Fase 2 del programma, e tra il 15% e il 20% del budget stanziato in Fase 1.
Ricordiamoci che l’Italia contribuisce a questi programmi con il 14% del budget. Il numero di proposte finanziate in Fase 1 fa ben sperare che con l’avanzare del programma potremo trovarci davanti a numeri sempre migliori anche in Fase 2. L’Italia è arrivata curiosa ma impreparata all’appuntamento con Horizon 2020, ma la Fase 1 dello strumento ha fatto effetto palestra, per le nostre imprese.
2. Se la percentuale di budget allocato all’Italia non desta preoccupazioni, è invece allarmante il basso tasso di successo.
Sono tantissime le Pmi che si avvicinano al programma, rendendo il rapporto tra proposte finanziate e proposte presentate troppo lontano dalle medie europee.
Tante delle proposte sono evidentemente scritte male, però non si tratta solo di questo.
3. Il livello di competizione per questo programma è altissimo, tra i più alti di tutto Horizon 2020.
Inoltre la competizione sullo strumento è destinata a salire. Purtroppo fuori dal finanziamento non rimangono solamente proposte di bassa qualità. Anzi! Della cut-off di Fase 2 del 25 novembre 2015, su 1090 proposte ben 400 sono risultate “sopra soglia” cioè ammesse alle graduatoria ma non finanziate per mancanza di budget.
Talento sprecato: posti di lavoro che non verranno creati, una scarsa fiducia del pubblico su proposte innovative di qualità.
Ecco che allora, sulla base di questi risultati, dobbiamo da una parte difendere un programma ben pensato, ma non adeguatamente finanziato.
Dobbiamo difenderne la logica, dobbiamo anche evidenziare elementi migliorativi.
Dobbiamo agire in forma sussidiaria allo strumento, perché l’Europa da sola non basta.
La prima raccomandazione che come Italia abbiamo presentato a gran voce a Bruxelles è quella di un processo di valutazione più trasparente e adattato alla selezione di progetti di investimento.
I soldi dello strumento arrivano rapidamente, e i tempi della valutazione sono piuttosto rapidi, ma la rapidità e il time to grant non sono tutto. Soprattutto per un programma di finanziamento così competitivo, chi fa domanda deve avere fiducia che le graduatorie siano rigorosamente calibrate, e che quando si perde il finanziamento per un decimo di punto, si è anche convinti che chi ci ha superati nel ranking abbia una proposta migliore della nostra.
L’SME Innovation Instrument non deve acquisire la fama di una lotteria. Ecco perché, a costo di allungare i tempi di erogazione del finanziamento, la Commissione deve prendere in considerazione l’idea di re-introdurre un secondo step di valutazione, un momento di confronto faccia a faccia con l’imprenditore che chiede al contribuente di investire sul suo progetto più di un milione di euro.
Questo dovrebbe avvenire quantomeno per i progetti in Fase 2, quantomeno per le proposte sopra soglia. Altra questione sono le risorse a disposizione. Il Rappresentante Nazionale e il National Contact Point, con il supporto della Rete Een e di Confindustria, incontrano ogni tre mesi i vincitori dello strumento.
È difficile non appassionarsi alle loro storie di impresa. Si tratta di iniziative imprenditoriali di pura Open Innovation. Si tratta di progetti ambiziosi, di scienza e tecnologia che finalmente vuole trovare la sua via al mercato. I progetti di qualità che rimangono fuori dal finanziamento vanno in qualche modo presi in considerazione e sostenuti.
Un primo aiuto “formale” per farlo arrivare da Bruxelles che, nel rispetto della riservatezza delle proposte non finanziate, assegna ai progetti sopra soglia in graduatoria un Seal of Excellence, un certificato che mette in evidenza la qualità della proposta e che potrebbe, nelle ambizioni di chi lo ha pensato, essere titolo per acquisire priorità su altre linee di finanziamento più capienti o regionali.
Ci vorrebbero circa 100 milioni di euro all’anno per finanziare i progetti sopra soglia italiani. Non è una cifra impossibile da stanziare.
Sarebbe una cifra che porterebbe sulla strada della commercializzazione tante nuove idee e tante nuove opportunità. Il finanziamento arriverebbe a quegli imprenditori, a quei ricercatori che porteranno l’Italia su una nuova strada di crescita e sviluppo.