di Gianluigi Viscardi, Vice Presidente Piccola Industria per l’Innovazione
Con l’evoluzione, più che una rivoluzione, in ottica 4.0, l’intera visione dell’industria cambia radicalmente. E con essa anche il modo di “vedere e fare formazione”, almeno da tre punti di vista: contenuti, luoghi e strumenti della formazione stessa. Si può rilevare, inoltre, un impatto determinante sull’organizzazione aziendale. Ma procediamo per singoli punti.
Sul fronte dei contenuti, questi risultano strettamente correlati alle nuove competenze in gioco. Poiché si parla di processi smart, è bene evidenziare in modo sintetico l’emergere di almeno tre “profili 4.0” fortemente connessi alle tecnologie digitali: il meccatronico, che cura le fasi dall’assemblaggio al collaudo alla manutenzione degli impianti; il progettista dell’architettura hardware e software, che sovrintende alla parte dei sensori, le interfaccia uomo-macchina e il Cloud; e infine l’analista dei dati, che si occupa del machine learning fino alla futura, ma neanche troppo, intelligenza artificiale.
La novità rispetto al passato è la sempre più marcata rilevanza di competenze non prettamente tecniche, le cosiddette soft skill. Per quella che è la mia esperienza imprenditoriale, darei importanza alla capacità di “apprendere sul campo”, quindi di condividerne il know how, e ancora di saper lavorare in team, di prendere decisioni. Non ultima l’attitudine a comunicare.
Cambiano anche i luoghi della formazione perché oggi, con le nuove competenze di cui abbiamo parlato, entrano in gioco altre realtà formative, disegnate per promuovere i nuovi percorsi professionali, che al tempo stesso vengono integrati nei processi di innovazione aziendale, soprattutto delle Pmi.
Parliamo in sostanza di Digital innovation hub, con le proprie antenne territoriali a stretto contatto con le realtà industriali per aiutare le imprese nella loro completa trasformazione digitale. E poi, ancora, i Competence Center di prossimo avvio e che, proprio perché nascono in contesti universitari, forniscono specializzazioni ad alto contenuto tecnologico.
Non ultimi, con la prospettiva di potenziare la formazione terziaria non accademica, ricordiamo gli Its come corsi post-diploma, destinati a preparare tecnici in specifici settori industriali sfruttando la sinergia tra il mondo della scuola e quello delle imprese.
Inoltre, per la natura stessa dell’evoluzione in corso, si fanno strada nuovi modi di erogare la formazione. Inevitabilmente la tecnologia diventa parte integrante degli strumenti di formazione interattiva: pensiamo alla realtà aumentata e alla realtà virtuale. Sarà sempre più stretto il rapporto con il mondo fisico dei laboratori e delle attrezzature industriali, quali ambienti privilegiati per fare “formazione diretta”. Ne sono un esempio i “LightHouse Plant”, modelli di impianti innovativi pensati per dare visibilità concreta alle tecnologie e ai principi dell’Industria 4.0. Diventano quindi veri e propri “banchi di prova” per fare formazione, studi, implementazioni tecnologiche, destinati a studenti, tecnici, ricercatori, fornitori di tecnologia e startup.
Parlare di formazione 4.0 significa anche, cosa non banale, cogliere l’impatto che questa avrà sulle imprese: in estrema sintesi possiamo dire che cambierà il modo di formarsi, come detto, e quindi “il modo di lavorare”. Ciò significa che sorgeranno nuove figure professionali, ma che altre dovranno essere riconvertite. Quest’ultimo aspetto non va sottovalutato e richiede una forte propensione da parte delle aziende a mettersi in gioco, trovando gli strumenti più idonei per affrontare la sfida.
La tecnologia ci viene in soccorso perché se da un lato è vista come un sistema complesso per rendere più competitivi i prodotti sul mercato, dall’altro si presenta come un’interfaccia semplice dei sistemi complessi: pensiamo agli smartphone, ai tablet, alle app, mezzi ormai ampiamente diffusi per controllare o interagire con impianti e processi. Uno degli aspetti non citati delle soft skill è quello della flessibilità: il lavoratore dovrà imparare a gestire il proprio tempo sempre più in funzione degli obiettivi.
In questo contesto la formazione diventerà uno strumento di crescita professionale, alla pari di possibili riconoscimenti economici.
Chiaramente questi aspetti andranno regolamentati, con possibili nuovi contratti di lavoro. Dagli scenari che si vanno delineando appare evidente che l’intera organizzazione deve cambiare, diventando un “soggetto che impara”, sia come azienda aperta alle competenze esterne, sia come ecosistema che cresce sul territorio.
Il tutto puntando sull’Open Innovation, non tanto perché è di moda quanto perché diventa un esempio concreto di come fare innovazione e al tempo stesso formazione sul campo.