Responsabilità, lungimiranza, chiarezza. Soprattutto tanta chiarezza. La “ricetta” per assicurare un futuro solido alle piccole e medie imprese che affrontano un cambio generazionale è fatta di questi ingredienti e a rafforzare l’ipotesi è Filippo Sertorio, presidente Piccola Industria dell’Unione Industriali Torino, che – in squadra con la componente dei Giovani Imprenditori e altri partner del territorio, fra cui l’Università di Torino, il centro di formazione Skillab e la Camera di Commercio di Torino – ha costruito un progetto per accompagnare le aziende in questa delicata fase.
“Family Business – Le Pmi familiari del domani” è il nome e poche settimane fa è stata presentata a Torino la terza edizione. “Abbiamo colto un bisogno – spiega Sertorio –. Il passaggio generazionale è un tema importante e delicato, ma non sempre le due controparti – genitori e figli più di frequente, ma anche fratelli, cugini – trovano il tempo e la voglia per affrontarlo. Un po’ per scaramanzia, un po’ per un blocco psicologico. Gli aspetti che vanno esaminati sono tanti e per questo motivo, in occasione della terza edizione, abbiamo deciso di introdurre delle pillole informative realizzate in collaborazione con esperti di diritto, con commercialisti, con docenti universitari, che aiutano gli imprenditori a orientarsi. In un’azienda, infatti, occorre valutare aspetti patrimoniali, fiscali, di governance, sia che si parli di patti di famiglia oppure di altre formule”.
Presidente Sertorio, le imprese coinvolte nel progetto rispondono a un questionario. Come funziona?
Sì, si tratta di un modello di questionario (So.Co, acronimo di solidità e continuità aziendale, ndr) messo a punto e “brevettato” da Bernardo Bertoldi, docente di Family Business Strategy e di Competitive Analysis all’Università di Torino. È fondamentale che rispondano, confrontandosi, le generazioni coinvolte; al termine le imprese ottengono una specie di mappa, nella quale sono indicate le criticità riscontrate e vengono forniti alcuni suggerimenti per affrontarle. Alla prima edizione grazie al contributo della Camera di Commercio, siamo riusciti a coinvolgere oltre 30 aziende alla formazione e poi abbiamo somministrato il questionario a quattro selezionate imprese, che sono rimaste entusiaste.
Le situazioni di partenza sono molto diverse o sbaglio?
No, non sbaglia. Nella prima edizione si andava dalla situazione in cui c’era un imprenditore con tre figli – solo uno dei quali desiderava lavorare in azienda – a quella in cui due fratelli, entrambi titolari, dovevano gestire l’inserimento della seconda generazione. Hanno risolto concordando “un patto di famiglia” con alcuni requisiti che i rispettivi figli avrebbero dovuto rispettare prima di entrare in azienda. Per esempio, l’aver lavorato almeno uno o due anni in un’altra impresa, l’aver compiuto almeno un anno di studio o di lavoro all’estero, essere laureati, e così via. I ruoli di ingresso sarebbero stati definiti in base alle opportunità disponibili.
Rispetto a solo dieci o 15 anni fa sembra che il passaggio di testimone ai figli non sia più un fatto così scontato, nemmeno da parte delle generazioni più grandi. È possibile?
È così e dal mio punto di vista questo è un bene perché, come ci ricorda anche il professore Bertoldi, anche se sei l’azionista non è detto che tu sappia fare il manager oppure l’imprenditore. A volte è preferibile fare un passo indietro e optare per altre strade per la nuova generazione.
In questa terza edizione del progetto, inoltre, a differenza delle prime due, abbiamo scelto di ampliare il perimetro dei contenuti parlando non tanto e non solo di passaggio generazionale, quanto di gestione degli asset e cercando di informare gli imprenditori su come valorizzarli. Fino al prossimo febbraio, dunque, vi sarà questa prima parte informativa con le “pillole” disponibili online; successivamente ci sarà la fase pratica con le aziende che accederanno al questionario e dopo l’estate presenteremo i risultati della terza edizione.
Le Pmi rappresentano una componente molto forte del tessuto industriale torinese. Che momento vive il territorio?
È un momento di fortissime riflessioni. Da sempre Torino vuol dire automotive e proprio per questo motivo c’è un know how incredibile. Negli ultimi tempi le aziende si sono abituate a vivere situazioni più o meno di crisi e hanno lavorato per allargare il mercato dei loro prodotti o per esportare. A Torino, proprio grazie a questo forte know how è nato un cluster aerospaziale, che a detta degli esperti sarà unico a livello europeo.
Inoltre, secondo recenti indagini, la città si attesta fra i migliori ecosistemi emergenti per le startup a livello mondiale e questa può diventare un’ottima opportunità per le Pmi. L’innovazione arriva dalle startup e se la sinergia con le piccole e medie imprese funziona può essere vantaggioso per entrambe. Proprio l’altro ieri (13 novembre, ndr) Torino è stata nominata la Capitale europea dell’innovazione 2024-2025.
Non bisogna piangersi addosso, occorre rimboccarsi le maniche; ma serve anche un forte supporto da parte della politica per dare maggiore visione e permettere una crescita lato investimenti, che oggi sono molto bassi e che da sempre sono il cuore pulsante di un’economia sana.
Ci spiega meglio?
È un tema non soltanto torinese ma nazionale. Il piano Transizione 5.0 sta facendo fatica a decollare (secondo il Sole 24Ore del 13 novembre, in tre mesi sono stati prenotati crediti di imposta da 324 imprese per complessivi 99 milioni, l’1,6% dei 6,23 miliardi disponibili, ndr) perché hanno messo troppe regole, troppi vincoli.
Abbiamo bisogno che la politica ci dica che l’industria è ancora al centro del progetto italiano ed europeo di sviluppo, così che anche le Pmi si sentano incoraggiate a fare la propria parte: mantenendo l’azienda sul territorio, investendo, diversificando.
Pensi, in tema di automotive, al dibattito se il futuro sarà il motore elettrico oppure quello endotermico. Questa incertezza non fa bene a nessuno. Noi Pmi siamo follower, non siamo noi a dettare le regole di quello che accadrà nell’industria nei prossimi dieci anni, ma abbiamo bisogno che qualcuno ci indichi la direzione. Solo così sapremo indirizzare i nostri investimenti dalla parte giusta.