A quasi un anno dall’Investment Compact e dal riconoscimento, per legge, delle pmi innovative è utile tracciare un quadro di chi ha raccolto la sfida e ha ottenuto, per l’appunto, il bollino di “pmi innovativa”.
Si tratta di aziende che iscrivendosi nella sezione ad hoc del Registro imprese – autocertificando il possesso di alcuni requisiti di trasparenza e capacità innovativa – dimostrano nei fatti di anticipare il futuro. Come?
Investono almeno il 3% in ricerca e innovazione – non una tantum ma costantemente – considerano il ricorso ai brevetti un’opportunità strategica per diventare dei leader e pensano che l’impiego in azienda di talenti altamente formati è un elemento che può, effettivamente, fare la differenza. Inoltre, con la certificazione del bilancio dimostrano anche la massima attenzione alla trasparenza.
L’insieme di questi requisiti rende queste pmi altamente competitive, ad alto valore aggiunto e, quindi, in grado di far distinguere il nostro paese nel mondo. Proprio per questo, a loro, l’Investment Compact ha dedicato importanti semplificazioni e agevolazioni, fiscali e non.
È vero, molte altre imprese posseggono queste stesse caratteristiche. La differenza è che, grazie all’iscrizione nella sezione ad hoc del Registro imprese, le “pmi innovative” diventano più visibili, attrattive e riconoscibili all’esterno.
Sono riconoscibili, in termini di capacità innovativa, agli occhi degli investitori, del sistema bancario, delle istituzioni e del mercato. Sono anche visibili in quanto la lista dei nominativi e dei principali requisiti posseduti è consultabile sul sito di InfoCamere.
Non solo. Quelle che desiderano maggiore visibilità, anche internazionale, possono pubblicare informazioni più dettagliate, anche in inglese, su #ItalyFrontiers, la piattaforma istituzionale di ministero dello Sviluppo economico, Unioncamere e InfoCamere di cui Piccola Industria è partner. Ma chi sono le 125pmi innovative che si sono già iscritte? Provengono da tutta Italia: il 54,4% dal Nord (con un forte contributo da Lombardia ed Emilia Romagna),
il 24,8% dal Sud (soprattutto Puglia e Abruzzo) e il 20,8% dal Centro.
Operano in diversi comparti e solo nell’high-tech: si va da chi realizza materiali innovativi per l’edilizia, droni e macchine utensili all’avanguardia, dai farmaci alle società specializzate in ricerca e sviluppo per produrre microrganismi per le bonifiche ambientali ai software per la ricerca semantica.
In termini aggregati il comparto industriale rappresenta il 37,6%, mentre i servizi arrivano al 58,4% (con in testa le società di produzione software e di ricerca e sviluppo).
Più della metà opera sul mercato da oltre sette anni, il 43,1% occupa più di dieci addetti, il 19,5% fattura più di cinque milioni di euro e il 28% è costituito in forma di società per azioni.
Numeri, questi ultimi, che confermano la presenza nel Registro di aziende consolidate e contraddicono, così, chi considera lo strumento delle “pmi innovative” unicamente come una soluzione per prolungare le agevolazioni alle ex “startup innovative”, ovvero a quelle realtà che hanno perso questo status.
Si tratta di un piccolo, ancora per ora, spaccato che conferma la forte capacità innovativa di queste imprese: l’83,2% delle iscritte spende in ricerca, sviluppo e innovazione più del 3% del totale dei costi, il 72,8% possiede almeno un brevetto e il 70,4% ha nel proprio organico almeno 1/5 di personale altamente qualificato.
Come ogni nuova policy all’avanguardia necessita di tempi fisiologici per entrare a regime. La sua parziale applicazione a livello normativo, la scarsa conoscenza tra le imprese, l’approvazione della norma a bilanci ormai chiusi che ha inizialmente escluso chi non possedeva la certificazione di bilancio (vincolo successivamente superato dalla possibilità, solo per la prima iscrizione, di presentare la certificazione anche ex-post) hanno fatto sì che le iscrizioni procedessero a un passo lento, seppur costante.
L’auspicio è che il numero delle aziende interessate possa nei prossimi mesi superare le quattro cifre.
Segnali positivi arrivano dal sondaggio “Sei una PMI Innovativa?” – tuttora compilabile online sul sito Confindustria – nel quale gran parte dei rispondenti intende nei prossimi mesi mettere in campo iniziative per soddisfare i requisiti per iscriversi nella sezione ad hoc, in particolare facendo certificare il bilancio, capitalizzando l’innovazione o brevettando.
È chiaro poi che un fortissimo impulso sarà dato dall’attuazione di due delle principali agevolazioni previste dall’Investment Compact, ovvero l’accesso in forma semplificata e gratuita al Fondo di Garanzia e, soprattutto, le agevolazioni fiscali per chi investe nel capitale di una pmi innovativa.
Si darebbe così piena attuazione alla policy dell’Investment Compact e ai suoi obiettivi di politica industriale: puntare con decisione su quelle imprese che posseggono i requisiti per reagire e crescere nell’immediato e che, proprio per questo, hanno in mano le sorti della ripresa economica. Lo ha capito anche il sistema bancario, in particolare Intesa Sanpaolo che, nella valutazione del merito di credito, riconosce e valorizza alcuni dei requisiti delle pmi innovative. Per questo Piccola Industria Confindustria intende proseguire il Roadshow “Puntiamo sulle imprese. Per una ripresa oltre le aspettative” realizzato in collaborazione con Intesa Sanpaolo e le associazioni del territorio per diffondere la conoscenza delle opportunità previste. Nel 2015 si sono tenute otto tappe che hanno potuto contare sui preziosi interventi dei referenti dei ministeri interessati e hanno coinvolto 1.400 partecipanti.
Perché lo status di “pmi innovativa” conviene. Si diventa più attrattivi e con maggiore visibilità, si entra in un circuito di semplificazioni e agevolazioni in gran parte automatiche, si migliora il rapporto con il sistema bancario.
In aggiunta, a prescindere, investendo in innovazione si diventa più competitivi e aumentano le possibilità di crescere e reagire.
Allora, perché non aderire?