Due dei principali processi strutturali che nel corso dell’ultimo decennio hanno trasformato fortemente il nostro sistema economico-sociale sono stati la rivoluzione tecnologica e la rarefazione del welfare e forti effetti di contrazione della spesa sociale.
La rivoluzione tecnologica ha indotto effetti di mutamento quasi rivoluzionari. Il tema strategico che ne deriva oggi è l’innovazione competitiva, che comprende innovazione economica e sociale. Per evitare il rischio che rimanga un’evocazione di principi – molto interessanti ma lontani – è indispensabile realizzare un cambio di paradigma e condurlo verso un impatto misurabile e socialmente positivo.
Il welfare in Italia si è gradualmente trasformato nel cosiddetto welfare mix, consolidatosi a partire dagli anni Ottanta, che ha delegato in modo crescente al no profit l’attuazione delle politiche sociali, sulla scia del cosiddetto welfare integrato indicato dall’Unione europea. Lo Stato ha in parte ridefinito l’accreditamento degli enti, e le amministrazioni locali hanno indicato la via del co-finanziamento per gli interventi, aprendo pian piano al mercato privato. L’Unione europea ha combinato insieme politiche di austerità e di incentivazione dell’impresa sociale, e il lavoro di indagine e di proposta della task force del G8, a cui anche Confindustria ha partecipato, ha puntato proprio sull’investimento finanziario a impatto sociale, il social impact investing capace di favorire contemporaneamente processi di innovazione, di sviluppo, di inclusione sociale, di sostenibilità.
L’ibridazione può costituirne l’elemento che gli fornisce la leva propulsiva, il modello che è capace di far convivere appieno le due nature dell’impresa: economica e sociale.
In questo processo la funzione di produzione non considera più solo l’utilità del consumatore, ma anche l’utilità sociale – intesa come beneficio collettivo – che l’attività di impresa è in grado di generare. È sempre più palese infatti il legame di interdipendenza che esiste fra imprese, istituzioni e società civile, e la necessità di percorrere un terreno in cui la collaborazione è l’unica strada verso lo sviluppo. Non sono più infatti solo le imprese mutualistiche e sociali – il cosiddetto Terzo Settore – a rivolgersi alla comunità come un attore fondamentale del processo produttivo, ma anche quelle profit, soprattutto nella progettazione di beni e di servizi più vicini ai bisogni dei cittadini.
La nascita delle società benefit in Italia rappresenta, a questo proposito, un elemento di grande impulso e di chiarezza in questa direzione.
Non solo: le startup a vocazione sociale, le imprese sociali, le imprese riformate del Terzo Settore sono tutte evidenti forme di ricerca di nuovi modelli d’attività.
Gli investimenti a impatto sociale identificano una vasta serie di investimenti che coinvolgono capitali privati e che favoriscono la creazione, anche in combinazione con fondi pubblici, di risultati sociali positivi, traendone, al tempo stesso, rendimenti economici.
Ciò che distingue questa nuova generazione di investimenti da quelli originati dalla responsabilità sociale d’impresa è l’intento proattivo con cui l’investitore individua l’obiettivo sociale che è congiunto al ritorno dell’investimento.
Le componenti più ricettive e intraprendenti del Terzo settore hanno iniziato già da tempo a sviluppare nuove strategie e a puntare sull’identità ibrida, anche per accrescere l’indipendenza economica dal settore pubblico. Circa un centinaio di NewCo sono nate di recente, promosse da cooperative sociali associate: perseguono obiettivi sociali e contemporaneamente producono un reddito da attività commerciale. Servizi alla persona, sanità, abitazioni, disabilità sono i settori prevalenti.
L’impact investing è dunque un canale che non solo utilizza risorse ulteriori, ma introduce innovativi strumenti gestionali e organizzativi in alcuni dei settori più fragili del sistema.
È un approccio che oltrepassa anche i processi della sussidiarietà, con imprese profit e no profit che evolvono dalle forme standard e si strutturano per avvicinarsi a nuovi mercati. Sono in sostanza nuove forme d’impresa che operano precedendo la loro stessa regolazione normativa. Nuove generazioni di imprenditori infatti sempre più cercano di associare alla produzione di reddito la produzione di valore sociale e la “sostenibilità”, un elemento che i nuovi processi economico-sociali rendono imprescindibile.
Le nuove tecnologie permettono infatti soluzioni aggiornate ai problemi sociali, ma rilevano anche nuovi bisogni.
L’Unione europea ha recepito l’importanza di questi processi, che favorisce e amplifica con gli indirizzi politici della Commissione europea.
Ne fanno parte social challenges delle politiche industriali e della ricerca; i modelli delle smart communities, delle smart cities e l’agenda di innovazione sociale. II social business è inoltre parte integrante della programmazione 2014-2020 dei fondi comunitari, e per investimenti in business sociali sono stati costituiti specifici fondi sociali.
Le realtà dei singoli Stati europei sono però diverse.
In Gran Bretagna – il modello più importante e consolidato nel nostro continente – l’impulso è stato governativo, stimolando un intervento consistente di istituti di credito e di aziende, per creare un corposo Fondo che compensasse le risorse carenti, e mediasse tra offerta e domanda di investimento.
Il governo coinvolge investitori privati in progetti che ricevono la loro remunerazione in caso di successo (social impact bond).
Nel nostro paese è stata invece finora prevalente la convivenza dei finanziamenti pubblici con quelli delle Fondazioni bancarie, o delle poche banche a vocazione sociale, come Banca Prossima e Banca Etica. Ma il contesto nazionale presenta un tessuto vitalissimo e anche potenzialmente assai innovativo, che aspetta solo di essere sostenuto. Giungerebbe così anche dalla crescita aggiuntiva, generata dalle aziende che investono in un processo integrato di qualità e sostenibilità, una spinta non secondaria al processo di sviluppo economico, indispensabile per incrementare il nostro tasso di occupazione e uscire definitivamente dalla crisi. Lo scenario delle azioni possibili nel breve-medio periodo è ampio: a livello governativo nazionale esiste un’attenzione, testimoniata anche dalla rapida introduzione delle “società benefit”, ma è necessaria la costruzione del mosaico completo.
Questo non può non comprendere, a livello iniziale, una quadro normativo di riferimento che favorisca e sostenga un mercato della finanza a impatto sociale; un sistema di garanzie e di agevolazioni che oltrepassi la logica del riconoscimento esclusivamente reputazionale per le imprese; non ultimo, un sistema di valutazione dello stato socio-economico del paese che superi il solo pil come misuratore. Un eco-sistema che offra una regolamentazione dalla struttura certa e agile e che favorisca la promozione di progetti-pilota.