
Nei primi mesi del 2025 le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Unione europea hanno raggiunto un nuovo apice con l’introduzione di dazi generalizzati da parte dell’amministrazione guidata da Donald Trump.
Il 12 marzo sono entrati in vigore dazi del 25% su acciaio e alluminio importati negli Stati Uniti, seguiti, a partire dal 3 maggio, da tariffe sulle automobili prodotte al di fuori del paese. Tuttavia, già il 2 aprile il presidente americano aveva annunciato una nuova ondata di misure: un’imposizione tariffaria del 10% su tutte le importazioni e un’ulteriore tariffa del 20% specificamente per i prodotti provenienti dall’Unione europea.
In risposta, la Commissione europea ha approvato un pacchetto di contromisure del valore di circa 21 miliardi di euro, con dazi del 25% su numerosi prodotti statunitensi, tra cui motociclette, jeans, burro di arachidi e succhi di frutta.
Il 10 aprile, nel tentativo di evitare una piena guerra commerciale, entrambe le parti hanno concordato una sospensione temporanea delle rispettive misure: per 90 giorni si sono impegnate a non attuare nuove tariffe, rinviando l’applicazione delle contromisure Ue fino al 14 luglio. Restano, però, in vigore i dazi su acciaio, alluminio e veicoli.
Parallelamente, la Commissione europea ha intensificato i preparativi per ulteriori contromisure. L’8 maggio ha infatti avviato una consultazione pubblica su una lista di prodotti statunitensi per un valore complessivo di 95 miliardi di euro, oltre a possibili restrizioni all’esportazione verso gli Usa di rottami ferrosi e prodotti chimici europei (per altri 4,4 miliardi di euro). La consultazione, aperta fino al 10 giugno, rappresenta un passo formale nell’ambito delle regole europee in materia di enforcement commerciale.
Sul piano multilaterale, l’Ue ha avviato una procedura di consultazione presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc), che potrebbe sfociare, in assenza di una soluzione entro due mesi, nella richiesta di un panel arbitrale.
Secondo la Commissione, circa il 70% dell’export Ue verso gli Stati Uniti — pari a 379 miliardi di euro — è oggi soggetto a dazi, inclusi quelli temporaneamente sospesi. Le imprese europee registrano già aumenti dei costi, riduzione della competitività e maggiori incertezze.
Nel frattempo, Bruxelles sarebbe alla ricerca di nuovi partner commerciali. Come dichiarato in un’intervista recente, nelle ultime settimane Ursula von der Leyen avrebbe parlato con i leader di Islanda, Nuova Zelanda, Malesia, Filippine, Canada, India ed Emirati Arabi Uniti per esplorare la possibilità di nuovi accordi economici. Si tratta di una strategia condivisa anche da Confindustria, come rimarcato più volte anche dal presidente Emanuele Orsini nelle passate settimane.
Sul fronte latino-americano, è tornato al centro del dibattito politico il tanto atteso accordo di libero scambio tra l’Unione europea e il Mercosur. Dopo anni di stallo, il testo dovrebbe essere pubblicato dalla Commissione europea nel mese di luglio, in coincidenza dell’inizio della presidenza danese del Consiglio dell’Ue.
Mentre la Commissione ha indicato di voler favorire una conclusione del dossier entro l’anno, persistono le resistenze di alcuni Stati membri, tra cui Francia e Austria, preoccupati per l’impatto sull’agricoltura europea. Anche al Parlamento europeo il clima rimane diviso: diversi gruppi politici hanno espresso apertura verso un accordo modernizzato, ma in plenaria non si esclude un voto critico, soprattutto da parte dei gruppi ambientalisti e protezionisti.
Infine, un segnale di de-escalation arriva dal fronte asiatico: il 12 maggio Stati Uniti e Cina hanno raggiunto un accordo per ridurre le tariffe punitive reciproche temporaneamente. Per 90 giorni, gli Stati Uniti abbasseranno i dazi sulle importazioni cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina porterà i propri dal 125% al 10%. L’intesa ha avuto un impatto immediato sui mercati finanziari, spingendo al rialzo i listini azionari globali.
Ad ogni modo, con la scadenza della tregua commerciale tra Usa e Ue fissata al 14 luglio, resta molta incertezza sul futuro delle relazioni transatlantiche. L’esito dei negoziati in corso potrebbe determinare se si andrà verso un’intesa o verso un’ulteriore escalation della guerra commerciale.