Insito nei profondi cambiamenti di questi anni è il drammatico accentuarsi del divario tra chi ha successo e chi rimane indietro; una polarizzazione che si osserva in tutto il mondo e che riguarda i territori, le imprese, le persone. Sono ormai numerose le rilevazioni che dimostrano un notevolissimo aumento della concentrazione della ricchezza, controllata da un esiguo numero di individui così come l’incremento della percentuale di popolazione in condizione di povertà anche nei paesi cosiddetti avanzati. La classe media, ossatura della società borghese e liberale, sta rapidamente scivolando verso livelli di sussistenza; la sempre meno colmabile distanza tra le classi sta frantumando la coesione sociale e il senso di appartenenza alla comunità; sta riducendo lo spirito di iniziativa e il senso del dovere.
In Occidente gli stati non sembrano riuscire a trovare soluzioni strutturali a queste problematiche, stretti tra livelli di debito ai limiti della sostenibilità e meccanismi gestionali in gran parte inefficienti che non si riesce (o non si vuole) riformare. Strati sempre maggiori di popolazione si trovano così abbandonati a se stessi, con problemi economici pressanti, sempre più spesso vitali, cui non sembra al momento esserci una risposta adeguata. Non è necessario essere storici raffinati per capire che in questo modo si arriverà presto (prestissimo?) a un punto di rottura che travolgerà tutti, compresi coloro che oggi sono tra gli “happy few”.
In un mondo che vuole rimanere libero, la soluzione a queste contraddizioni sta nella capacità di innovare l’idea della creazione di valore economico. In quanto organismi funzionali proprio alla creazione di valore economico, le imprese, di ogni natura, hanno la grande opportunità di essere protagoniste di questa innovazione.
La stagione della corporate social responsability (Csr) o dell’impresa sostenibile avviata negli anni ’80 ha prodotto effetti significativi nella maggior parte della componente qualificata del sistema delle imprese: la ormai generale accettazione che la gestione aziendale deve massimizzare insieme al profitto l’impatto sociale e ambientale; la comprensione dell’importanza di un efficace coinvolgimento di tutti gli stakeholder con cui l’impresa interagisce nello svolgimento delle sue attività; l’accettazione di “essere misurati” per verificare i risultati realizzati nel tempo sul piano della trasparenza e del contributo al miglioramento ambientale e del benessere diffuso. Importanti cambiamenti nell’approccio culturale e manageriale delle imprese cui hanno corrisposto risultati concreti: la generalizzata riduzione del “footprint” ambientale; la diminuzione degli sprechi; il sostegno finanziario a un gran numero di piccoli e grandi progetti sociali; il tendenziale miglioramento delle relazioni con le comunità di appartenenza, anche nei paesi meno avanzati.
Nonostante siano evidenti sia l’impegno messo da moltissime imprese, anche di medie o piccole dimensioni, che la rilevanza dei risultati che ne sono derivati, continua a prevalere un senso di non soddisfazione: le distorsioni sociali sono comunque aumentate, i problemi ambientali hanno continuato ad aggravarsi; gli abusi di potere o addirittura i comportamenti marcatamente illeciti sono tutt’altro che rari, a volte anche nelle stesse aziende che per altro verso dichiarano di essere sostenibili.
Del resto, piuttosto spesso le imprese sono state lasciate sole nel loro impegno sociale e ambientale, in particolare da un sistema pubblico poco attento ai propri doveri di sostenibilità e trasparenza.
Per risolvere le gravissime contraddizioni in atto i modelli di comportamento responsabile fino ad ora prevalenti si mostrano, dunque, insufficienti (per quanto, comunque, generatori di effetti positivi). Occorre un cambiamento radicale: l’innovazione sociale può rappresentare questo cambiamento.
L’innovazione sociale pone come obiettivo primario dell’agire economico la soluzione di bisogni collettivi e non solo di quelli individuali e sviluppa l’aggregazione positiva di soggetti diversi nella realizzazione di modelli, prodotti e servizi in grado di rispondere al meglio a tali bisogni.
L’impresa ha l’opportunità di mettere le proprie competenze e i propri modelli gestionali al servizio del miglioramento di tutta la comunità, interagendo attivamente con altri attori i quali, a loro volta, sono portatori delle loro specifiche esperienze. L’idea che l’impresa si preoccupi di creare una ricchezza che benefici direttamente la comunità cui appartiene ha le sue origini nell’economia civile che contribuì alla grandezza dei nostri Comuni nel Tre-Quattrocento; che fu attentamente (ma con poca fortuna) concettualizzata nel Settecento dalle scuole di economisti napoletani e milanesi e che è stata recentemente ripresa dalla letteratura manageriale nel concetto di valore condiviso. La Csr è basata sull’impegno discrezionale dell’impresa, stimolato magari da pressioni esterne o addirittura dall’individuazione di una maniera migliore per aumentare il solo profitto; l’innovazione sociale presuppone, invece, un modo diverso di concepire il ruolo che l’impresa intende giocare nella comunità di cui è parte e le relazioni con le sue diverse componenti.
La partecipazione attiva delle imprese ad esperienze di innovazione sociale, con l’intento di creare valore, condiviso è già in atto: si pensi ai casi di innovazione di prodotti o servizi per rispondere al meglio alle particolari esigenze di mercati deboli. Oppure all’azione di traino esercitato da alcuni grandi gruppi internazionali sui sistemi economici locali, attraverso la creazione di opportunità di business per le piccole aziende locali e il trasferimento di competenze a loro vantaggio. Oppure, ancora, alla diretta partecipazione a progetti di rafforzamento dell’attrattività del territorio. Del resto è il sistema imprenditoriale che, più del soggetto pubblico o delle organizzazioni non profit, dispone degli strumenti migliori per rendere economicamente sostenibili offerte innovative per contenuto e target di riferimento.
Le attuali esperienze di innovazione sociale sono ancora numericamente limitate e in molti casi sperimentali; è essenziale che segnino l’avvio di una tendenza strutturale. In tal senso è molto positivo l’impegno strategico posto a suo favore dall’Unione europea per il ciclo di programmazione 2014-2020, recepito nei Piani strategici di gran parte delle nostre Regioni. Lavorare in questa direzione è una grande opportunità, e forse anche una necessità, per il sistema imprenditoriale; se saprà coglierla, potrà continuare a prosperare e ad essere componente trainante della società umana.
DICEMBRE 2014