Giovedì scorso si sono svolti nella capitale europea il vertice Nato, il vertice G7 e la prima giornata del Consiglio europeo. In agenda, a un mese dall’attacco russo all’Ucraina, il dilemma sul che fare, soprattutto data la presenza del presidente americano Joe Biden, giunto a Bruxelles per contribuire ad orientare le decisioni dei partner europei.
Una giornata intensa, carica di aspettative e di tensioni per tutte le possibili conseguenze delle decisioni da assumere, soprattutto rispetto alla guerra al confine orientale. Sia la Nato che il Consiglio europeo hanno confermato di voler evitare la cobelligeranza, continuando a inviare armi difensive come i missili antinave, ma evitando di passare a quelle offensive (aerei e carri armati), come richiesto invece da Volodymyr Zelenskij.
La Nato ha nuovamente escluso una no fly zone o l’idea di organizzare una missione di mantenimento della pace.
I TIMORI DI UNA RECESSIONE
Il Consiglio europeo ha anche escluso l’embargo commerciale. Non ci sarà nessuna interruzione delle importazioni di gas e petrolio. Non c’è stato accordo, infatti, tra i 27 capi di Stato e di governo dell’Ue su nuove sanzioni significative, a causa dello scontro aperto tra Germania, Austria, Belgio e Ungheria contrarie e i paesi dell’Est e i baltici favorevoli, in particolare a quelle sul petrolio.
Il tema di fondo è la paura di una recessione dalle conseguenze sociali e politiche imprevedibili. Per questo il presidente Biden ha mostrato preoccupazione sull’unità europea contro Putin nel medio periodo.
Per quanto riguarda la richiesta di adesione dell’Ucraina all’Ue, la Slovacchia ha provato senza esito a proporre un emendamento alla bozza di Conclusioni del Consiglio europeo per rafforzare le speranze di Kyiv di ottenere lo status di paese candidato. La Dichiarazione finale si limita a chiedere alla Commissione di esprimere il suo parere sulla richiesta di adesione dell’Ucraina sulla base di quanto sancito dai Trattati. Insomma, nessuna richiesta di Zelenskij ha trovato una sponda.
I lavori del Consiglio, ripresi venerdì 25 dopo diversi incontri bilaterali, sono stati segnati in particolare dalle tensioni tra paesi sulla risposta europea alla crisi energetica.
Mercoledì 23, alla vigilia del vertice dei Capi di Stato e di Governo, la Commissione aveva presentato una proposta legislativa che introduce un obbligo di stoccaggio di gas di almeno l’80% per il prossimo inverno (che salirà al 90% per gli anni successivi), con l’obiettivo di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento energetico, e una Comunicazione che definisce e valuta le opzioni di intervento sul mercato a livello europeo e nazionale, per rispondere alle preoccupazioni sui continui prezzi elevati dell’energia.
Per quanto riguarda il regolamento, si rende legittimo l’esproprio degli impianti di stoccaggio di gas di società estere presenti nell’Ue in caso di rischio per la sicurezza energetica: il riferimento a Gazprom, che ha impianti in Germania, Austria, Paesi Bassi e Repubblica ceca, sembra evidente. In particolare, è previsto un nuovo schema di certificazione obbligatoria per i proprietari di infrastrutture di stoccaggio del gas: gli operatori che non riceveranno la certificazione dovranno rinunciare alla proprietà o al controllo degli impianti nell’Ue.
IL PRICE CAP, TRA FAVOREVOLI E CONTRARI
Per quanto riguarda invece la Comunicazione e la valutazione delle opzioni, il tetto al prezzo all’ingrosso del gas e dell’elettricità (il cosiddetto “price cap”) e il disaccoppiamento del prezzo del gas da quello dell’elettricità si sono rivelate tra quelle più divisive in Consiglio. I lavori sul tema di gas ed energia sono andati avanti per diverse ore nel pomeriggio di venerdì e sono stati interrotti due volte per cercare un’intesa.
Il premier spagnolo Pedro Sánchez ha guidato il gruppo di paesi favorevole ad un intervento europeo nei mercati energetici, sostenendo che i prezzi sono già disaccoppiati e che la diretta conseguenza di tale disaccoppiamento è l’impennata di quelli dell’elettricità.
L’Italia gli ha dato sponda, con il presidente del Consiglio Draghi, che ha insistito sulla necessità di inserire nel testo delle Conclusioni il riferimento al “price cap” per il gas, dando poi due mesi di tempo alla Commissione, fino al prossimo Consiglio di maggio, per elaborare una proposta dettagliata.
Germania, Austria, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia, contrari soprattutto al “price cap”, hanno dovuto fare qualche concessione di forma, visto che la loro previsione secondo cui l’aumento dei prezzi sarebbe stato “transitorio” si è rivelata fallace: innanzitutto, si potrà collaborare su base volontaria per gli acquisti congiunti di gas, Gnl e idrogeno, facendo uso ottimale del peso politico e di mercato dell’Unione europea e dei suoi Stati membri per smorzare i prezzi nei negoziati. La piattaforma di acquisti comuni sarà aperta anche ai paesi dei Balcani occidentali e ai tre partner orientali associati e coordinata dalla Commissione.
In secondo luogo, la Commissione discuterà ed esplorerà con le grandi società petrolifere, le grandi società elettriche e le società di grande distribuzione delle opzioni per mitigare l’effetto dell’aumento del prezzo del gas e dell’elettricità, come la tassazione dei profitti straordinari e la possibilità di mettere un tetto al prezzo del gas. A tale consultazione parteciperà il Consiglio dei ministri dell’Energia, in modo da avere delle proposte entro maggio.
Sempre a maggio, la Commissione dovrebbe presentare una proposta sulla possibilità di spacchettare la formazione del prezzo dell’energia elettrica da quella del gas. Intanto a fine aprile si aspetta il rapporto dell’Acer (l’Agenzia europea dei regolatori nazionali dell’energia) sul mercato dell’energia, chiesto dalla Commissione per avere il quadro della struttura del mercato in vista di una riforma del mercato elettrico.
Insomma, tutte le decisioni rilevanti sono state rinviate a maggio, anche se in molti considerano le decisioni di venerdì 25 come il lancio politico di una vera Unione dell’Energia.
Se a livello europeo occorrerà aspettare ancora qualche mese prima di avere delle risposte comuni, a livello nazionale invece si potranno già attivare (e, in effetti, sono già state attivate in diversi Stati membri) misure straordinarie di sostegno e compensazione nel contesto delle regole del nuovo Quadro Temporaneo sugli aiuti di Stato. La Commissione si impegna ad un esame di ciascuna notifica in tempi brevi, proprio per consentire una loro rapida operatività nel segno della legittimità giuridica europea.
L’ACCORDO CON GLI STATI UNITI PER LA FORNITURA DI GAS
Infine, sempre venerdì scorso la presidente von der Leyen ha anche presentato un accordo con gli Stati Uniti per la fornitura di 15 miliardi di metri cubi di gas naturale liquefatto (Gnl) americano, pari al 10% di quanto viene importato attualmente dalla Russia, con l’obiettivo che questa mossa possa contribuire a calmierare i prezzi.
Nell’accordo sembra siano state inserite clausole affinché i prezzi rimangano accessibili. Il prezzo lo farà il mercato ma, secondo l’intesa, negli scambi tra Bruxelles e Washington si dovrà tenere conto di “contratti a lungo termine, della garanzia di una domanda europea stabile” nel tempo e del prezzo di riferimento americano, meno volatile e più basso di quello europeo.