Quest’anno uno dei riconoscimenti del Premio Guido Carli andrà al Primo ministro etiope Abiy Ahmed Ali, il giovane e carismatico leader che sta cambiando il volto del suo paese per mezzo di un veloce processo di modernizzazione e democratizzazione.
La sua elezione ha sbalordito tutto il mondo: ingegnere di formazione, lavora nell’esercito con ruoli tecnici e politici, diventa nel 2015 ministro della Scienza e della Tecnologia e, dopo tre anni, primo (numero ricorrente nella vita di Abiy Ahmed Ali) leader oromo e di fede protestante di un paese fino ad allora guidato da esponenti di altre etnie e fedi religiose.
Per la prima volta nella sua decennale storia il premio, che sarà assegnato a maggio dalla Fondazione Carli, varca dunque i confini nazionali. E sceglie l’Africa come prima destinazione. Intitolato ad uno dei protagonisti della vita economica italiana degli ultimi decenni, il premio viene attribuito ogni anno a coloro che, nella loro attività lavorativa italiana e internazionale nei settori dell’economia, alta finanza, banche, imprenditoria, cultura e giornalismo si sono impegnati per la costruzione di un’Italia sempre migliore secondo i principi di onestà, trasparenza e meritocrazia. Quegli stessi principi che la giuria ha riconosciuto al giovane premier etiope.
La premiazione di Abiy Ahmed Ali ha, però, a ben vedere una serie di risvolti altamente significativi, che vanno oltre l’attribuzione di un prestigioso riconoscimento alla carriera. Il primo di questi ha un valore principalmente simbolico: si riannoda infatti il legame storico che unisce l’Italia e l’Etiopia e che ha lasciato, finora, una positiva traccia nei cordiali rapporti tra i due paesi.
Il secondo ha invece un valore politico rilevante perché costituisce un ideale ponte tra un’Italia economica e sociale alle prese con un virus che ne sta attanagliando energie e risorse economiche e un’Africa che, solo sfiorata nel momento in cui scriviamo, continua a guardare al futuro costruendo, con determinazione e velocemente, la Zona africana di libero scambio continentale, in sigla AfCFTA.
Ha infatti giurato il 19 marzo nella sede dell’Unione africana di Addis Abeba (ancora un nuovo segnale della storia) Wamkele Mene, brillante diplomatico del Ghana, con alle spalle solidissimi studi alla London Economics, che guiderà il neocostituito Segretariato dell’AfCFTA. Sarà lui in altre parole a guidare l’organo tecnico che farà da volano alla Zona di libero scambio in vigore dal primo luglio 2020, dando concretezza ad azioni e politiche.
Capriole della storia? Può darsi. Ma è più che probabile che Abiy, il giovane premier del paese capofila dell’area est del continente, a sua volta definita “locomotiva dell’Africa”, guardi con sempre maggior interesse a una Italia industriale che dovrà necessariamente ricostruirsi e ricostituire una parte del suo tessuto industriale. E che resta depositaria del modello industriale di riferimento per rinnovare la sua economia, come ha già fatto nel primo dopoguerra e come, ormai sicuramente, dovrà di nuovo fare.