
Oggigiorno si parla sempre di più di sostenibilità e di attenzione ai temi ESG (Environmental, social and governance). In questo contesto un numero sempre crescente di società decide di adottare la forma della società benefit prevista dall’art. 1 comma dal 376 al 384 della legge del 28 dicembre 2015 n. 208 (cd. legge di stabilità 2016). Ma in cosa consiste una società benefit e quando adottare questo modello? Bisogna premettere che, secondo l’impostazione accolta dal nostro ordinamento giuridico, l’attività imprenditoriale in forma societaria è per sua natura finalizzata al profitto in favore dei soci. Questo aspetto va a connaturare l’essenza stessa della società.
Divenire società benefit significa superare questo approccio classico di fare impresa. Significa infatti che la società, pur rimanendo a tutti gli effetti una società a scopo di lucro, aggiunge a questa sua finalità anche il conseguimento di obiettivi di beneficio comune nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni. La società benefit è dunque una società tradizionale che si obbliga al tempo stesso a creare un impatto positivo per il territorio in cui opera e in particolare per tutti coloro che sono coinvolti dalla sua attività, quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, Pubblica amministrazione e società civile.
La società benefit è peraltro libera di scegliere le specifiche finalità di beneficio comune e le modalità concrete con cui realizzarle; la legge precisa tuttavia che il beneficio comune è perseguito nell’esercizio dell’attività economica e la maggioranza degli operatori del diritto ritiene che da ciò consegua che esso debba avere un collegamento con il business aziendale.
In pratica, la natura di società benefit è quella di essere intrinsecamente “sostenibile” e difatti per espressa previsione legislativa essa deve operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente.
Qualunque società – sia essa di persone, di capitali o cooperativa – può assumere la forma di società benefit a prescindere dalle dimensioni. Certamente essa è attrattiva anche e soprattutto per le piccole e medie imprese, che rappresentano il tessuto imprenditoriale italiano. Divenire società benefit risponde infatti a una visione, di cui le Pmi si possono ben fare portavoce, dell’attività di impresa come attività che crea valore anche a livello sociale e per il territorio. Da questa scelta possono poi conseguire vantaggi concreti per la Pmi.
Ad esempio, ad essa è associata la possibilità di acquisire un vantaggio reputazionale come soggetto in grado di rivolgersi ad un mercato sempre più sofisticato ed attento alle questioni ambientali e sociali, la possibilità per l’azienda di misurare e valorizzare all’esterno l’impatto positivo di carattere non finanziario, una maggiore capacità di attrarre risorse lavorative e una spinta al miglioramento continuo imponendo di prendere in considerazione le proprie performance a 360 gradi.
L’attenzione alle tematiche ambientali e sociali che la società benefit incarna è poi un fattore che assumerà prevedibilmente sempre maggiore peso nelle relazioni con banche e investitori finanziari.
Assumere la forma di società benefit è alquanto semplice: occorre inserire nell’oggetto sociale previsto in statuto le specifiche finalità di beneficio comune che intendono perseguire. Se la società è di nuova costituzione, l’oggetto sociale sin dall’origine prevederà tali finalità. Se la “trasformazione” in società benefit avviene durante la sua vita sociale, sarà sufficiente una modifica statutaria adottata con delibera dell’assemblea dei soci in forma notarile, che verrà depositata e pubblicata al Registro delle imprese secondo le ordinarie modalità di legge.
Dal momento in cui l’impresa assume la forma di società benefit, essa potrà indicare nella denominazione le parole “Società Benefit” o “SB” e utilizzarla nella documentazione sociale.
Ma soprattutto da questo momento cambiano gli obblighi degli amministratori. Questi ultimi saranno tenuti a gestire la società bilanciando gli interessi dei soci al profitto con gli interessi dei soggetti destinatari delle finalità di beneficio comune (cosiddetti stakeholder). In altre parole, essi dovranno saper coniugare una duplice finalità: lo scopo di lucro e al tempo stesso l’utilità sociale e/o ambientale.
In pratica si tratterà di “calare” gli obiettivi di beneficio comune nella organizzazione della società, coinvolgendo tutte le funzioni aziendali e adeguando i processi aziendali allo scopo. Compito che sarà tanto più complesso quanto la società avrà una dimensione maggiore.
Per tale motivo le legge prevede che l’organo amministrativo affidi ad uno o più soggetti la responsabilità dell’attuazione del beneficio comune. Possono rivestire questo ruolo gli stessi amministratori, ma nulla vieta che esso sia affidato ad altro soggetto dell’organizzazione, come un procuratore o institore.
Per assicurare che la gestione sociale avvenga in modo trasparente a beneficio di tutti gli stakeholder, l’organo amministrativo dovrà predisporre una relazione annuale, da allegarsi al bilancio e pubblicarsi sul sito internet della società, contenente una descrizione dell’attività svolta per il perseguimento del beneficio comune e degli obiettivi che intendono perseguire nell’esercizio successivo e soprattutto la valutazione dell’impatto generato utilizzando un cosiddetto standard di valutazione esterno.
Quest’ultimo aspetto appare un tratto distintivo delle società benefit. La misurazione e valutazione dell’impatto concretamente generato è infatti un elemento fondamentale per dare evidenza dei risultati raggiunti sul piano ambientale e/o sociale e valorizzarli all’esterno. Per questa ragione lo standard di valutazione esterno, cioè appunto lo “strumento” utilizzato per tale valutazione dell’impatto, deve rispondere a specifiche caratteristiche e requisiti previsti dalla legge.
In conclusione, se da un punto di vista formale “nascere” o divenire società benefit è piuttosto semplice, si tratta di una scelta indubbiamente importante, che va a permeare l’intera struttura aziendale e alla quale devono seguire azioni concrete per il perseguimento del beneficio comune. Proprio al fine di evitare un uso improprio di questo modello, il mancato perseguimento di queste finalità è sanzionabile dalla Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per violazione della disciplina in materia di pubblicità ingannevole.
Nota sull’autore

DANIELE GIOMBINI
Daniele Giombini si è laureato in giurisprudenza all’Università di Perugia nel 1999 ed è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2005. Partner dello studio legale Mondini Bonora Ginevra, presta consulenza, giudiziale e stragiudiziale, in materia commerciale, societaria e nel diritto bancario e finanziario, nel cui ambito si interessa anche di sostenibilità e società benefit. Ha conseguito master di specializzazione in diritto societario, nella contrattualistica d’impresa e in contabilità e bilancio.