C’è un fattore in cui vacillano anche i grandi professionisti del branding. Una delle regole auree della comunicazione dice che in situazioni ad elevata complessità, così come all’ampliarsi del tuo pubblico, devi asciugare i messaggi per aumentarne l’impatto: adottare un linguaggio comprensibile ai più, chiaro e coerente. Nelle crisi serve concretezza: prendere posizione, agire. Ma anche farlo sapere (bene) per rafforzare il marchio. Nulla di facile se si hanno alle spalle anni disruptive, tra pandemia e difficoltà economiche, un conflitto in corso con pesanti ripercussioni per l’Europa e prospettive incerte su ogni fronte.
Le emergenze da sempre sono uno spartiacque per aziende e organizzazioni nella relazione con il target: ciò che ci viene perdonato in tempi “ordinari” non resta sottotraccia in tempi turbolenti. Nella crisi si gioca la nostra autorevolezza: dimostriamo la nostra consistency, rafforziamo (o rendiamo più fragile) la nostra immagine. Trasferiamo la nostra capacità di adottare il giusto tone of voice, nel giusto momento.
Dopo mesi durissimi alle prese con il Covid-19, oggi facciamo i conti con uno scenario internazionale segnato dalla guerra in Ucraina. È un momento in cui le persone sono più che mai sensibili a valori sociali ed etici, non troppo tempo fa decisamente secondari nel business rispetto al profitto: in scenari come questi ogni passo falso – anche di stile – può intaccare la reputation di un’azienda o un’organizzazione.
“FARE BENE” E FARLO SAPERE
Non è un caso se da settimane le imprese lanciano iniziative per affermare anche pubblicamente la propria posizione sulla guerra in corso. Dalla compagnia telefonica che azzera il costo delle chiamate da e per l’Ucraina, alla compagnia aerea low cost che mette a disposizione 100mila posti gratuiti sui suoi voli continentali in partenza dai paesi confinanti con quelli coinvolti nel conflitto. Anche il mondo dello sport fa la sua parte, con l’esclusione da alcune competizioni internazionali di atleti russi, o la rinuncia a sponsor “scomodi”.
Non è tutto: molti big dell’Hi-tech hanno sospeso le vendite in Russia, per evidenziare la “distanza” dalle scelte di chi le governa, così come i colossi della telefonia. In tanti spiegano chiaramente sul sito le ragioni della scelta: dichiarano di seguire la propria etica e “si impegnano a seguire quotidianamente l’evolversi del conflitto”, pronti ad “adottare ulteriori misure nel caso in cui ce ne dovesse essere il bisogno”.
È lungo anche l’elenco dei marchi della moda e del lusso che hanno deciso un dietrofront (temporaneo) dei loro flussi di export: il mondo del fashion si è schierato nettamente annunciando, spesso attraverso i social, la sospensione delle attività retail in Russia. Un approccio legato alla nota strategia del “brand activism”, che da anni spinge le aziende a fare scelte coraggiose, sia per ragioni morali che per affermare l’interesse per cause “alte” e sociali, in alcuni casi vicine al proprio business e in altri decisamente meno scontate.
Un terreno scivoloso dove occorre muoversi cauti: assumere una posizione contraddetta dai comportamenti effettivi può avere un pericoloso effetto boomerang sull’immagine dell’azienda, così come veicolare messaggi vagamente ironici e fuori luogo. Senza dubbio chi imbocca questa strada deve avere il coraggio di scontentare qualcuno, puntando a una più forte penetrazione valoriale nel proprio target.
BANDIERE GIUSTE AL POSTO GIUSTO
La comunicazione aziendale non punta più sul “solo prodotto” da tempo. A fare la differenza è la capacità di coinvolgere i propri stakeholder su un piano più profondo, anche emotivo. Si tratta di sventolare le bandiere giuste al momento giusto ed è un mestiere che non si improvvisa: nelle crisi è indispensabile avere persone che, in pronta reazione, si adoperino per scrivere un comunicato stampa o un post sui social.
Ma soprattutto bisogna capire per tempo su quali temi il brand deve esporsi: farlo su tutto è sbagliato, perché i marchi – come le persone – devono parlare di ciò “che conoscono” e di ciò in cui credono. Ogni marchio deve porsi delle domande a monte: quali sono i valori e i desideri del nostro target? Davvero abbiamo costruito una community, prima di esporci su un particolare tema? Se ci si esprime prima di questa auto-analisi si rischia di risultare fasulli. E si sconta sulla brand awareness.
Ecco perché sempre più aziende arruolano figure e professionisti ad hoc. Spesso “brand journalist”, ovvero giornalisti che sanno usare strumenti specifici per la comunicazione aziendale, ma anche consulenti specializzati sugli aspetti socio-politici, grazie ai quali selezionare gli argomenti su cui puntare e le posizioni da assumere.
Un approccio noto a chi ha impostato la strategia architettonica della salesforce tower di San Francisco, costruita prevedendo che di volta in volta i suoi 61 piani potessero essere colorati in base alle cause del giorno. A San Francisco il marketing è un pallino di tutti: il Municipio ha un calendario delle cause e dei relativi colori che ne addobbano la facciata e ne fa uso oculato in relazione all’attualità.
I MAESTRI DEL REAL TIME MARKETING
Agganciare la propria strategia di marketing e comunicazione all’attualità, per fini anche promozionali, è una pratica diffusa: il Real time marketing. Non una novità di questi ultimi tempi, ma un noto strumento usato dalle aziende per cavalcare i fatti-chiave del momento per promuoversi. Il mondo del calcio, per la sua popolarità, ha spesso offerto spunti “in linea”: la scorsa estate, in occasione degli Europei, la Royal Mail inglese aveva scelto di mostrare un pallone incartato per la spedizione e lo slogan “It’s coming home”, che prevedeva la vittoria finale del paese ritenuto “patria del football”. Poi ha vinto l’Italia e Poste Italiane ha replicato ai colleghi d’Oltremanica con la pubblicità che correggeva “home” in “Rome”. Sui social è diventata virale, a immediato beneficio del brand.
In modo analogo, in più occasioni e in risposta ad altri stimoli, altri noti brand “maestri del Real time marketing” si sono fatti notare: è il caso del marchio di birra Ceres o della più irriverente delle agenzie funebri, Taffo. Lavorare sul Real time marketing non è banale e viaggia sul principio del just in time. In un periodo come questo, dove la guerra genera un mood di paura e sofferenza, molti esperti hanno scelto di non esporsi.
BRANDING E SCOMODE VERITÀ
Sul fronte “emergenza e branding” c’è, infine, un’altra poco trattata verità da considerare: il peso della guerra ha reso scomodamente effimero ogni progetto o messaggio che non riguardi in senso stretto i temi del conflitto o le sue conseguenze.
Chiunque in questi giorni lavori a un’iniziativa di routine o distante dal fronte “crisi” ha la sensazione di trovarsi in un limbo: le attività correnti vanno avanti, in azienda come nelle organizzazioni, ma appaiono inevitabilmente “minuzie del quotidiano” davanti alle notizie drammatiche di uomini e donne al fronte. Anche qui la parola d’ordine è equilibrio. Visione “larga”. E pazienza.
Confindustria e il “marketing dei fatti”
Il vice presidente Alberto Marenghi: “La sfida di allargare la base in tempi incerti: azioni e pochi messaggi chiari”
Quanto è difficile fare marketing in tempi di crisi? Lo è per le aziende e per le organizzazioni. Per Confindustria la grande sfida è lavorare per rafforzare la base associativa in una delle fasi più complesse di sempre per le imprese e il Paese. Di farlo con il giusto modo, messaggi equilibrati e tanti fatti. “Sui fatti, prima ancora che sui messaggi, si fonda la nostra capacità attrattiva – sottolinea Alberto Marenghi, vice presidente di Confindustria con delega all’Organizzazione, lo sviluppo e il marketing associativo – lo abbiamo sperimentato in pandemia e lo viviamo ancora oggi: se le aziende ci riconoscono ruolo, capacità d’azione e di visione, si rafforza la loyalty dei soci e cresce la disponibilità delle imprese target ad avvicinarsi al nostro mondo”.
Un approccio che presuppone, ancora una volta, l’identificazione puntuale dei bisogni. E la capacità di fornire risposte chiare, e un network solido, in tempi incerti.
(Articolo pubblicato sul numero di aprile dell’Imprenditore)