Dopo l’Alignment, l’Ability, l’Architecture c’è un’altra dimensione che contribuisce a ridurre il gap fra la strategia e l’execution: l’Agility. Originariamente utilizzato per definire un metodo di sviluppo del software, appunto agile, l’espressione ha conosciuto un’evoluzione semantica per definire uno stile di management che influisce sulla velocità di adeguamento e sulla stabilità dell’impresa.
Sembra contraddittorio collegare due concetti così diversi come la velocità del cambiamento e la stabilità, ma nel contesto odierno risultano vincenti proprio le imprese che dimostrano di saper rispondere e reagire rapidamente per cogliere le opportunità emergenti, gestire il cambiamento, allocare le risorse, alimentare l’innovazione. Tuttavia, quando si parla di reazione non ci si riferisce solo alla rapidità di reazione di fronte alla disruption, al cambiamento esogeno, a circostanze non prevedibili, ma anche alla capacità di innovare attraverso la condivisione di dati e di informazioni per predisporre soluzioni nuove con le quali consolidare il vantaggio competitivo.
La storia recente è ricca di casi esemplificativi di aziende di successo, riconosciute e apprezzate come aziende stabili che per motivazioni diverse non hanno saputo o voluto cogliere i segnali, accettare di rimettere in discussione modelli, agire tempestivamente. Emblematico a questo proposito è un passo nella biografia di Steve Jobs, laddove sottolinea come effimero possa essere il vantaggio competitivo raggiunto da Apple, potendo essere messo in discussione in qualsiasi momento da un gruppo di ragazzi che magari in uno scantinato, così come era capitò a lui, da qualche parte del mondo potessero inventare nuove applicazioni (cfr. Steve Jobs, di Walter Isaacson).
Ecco, se c’è un elemento comune alla storia di diverse imprese è questa incapacità di saper cogliere i segnali, soprattutto quelli deboli, di non saper sentire arrivare competitor che poi si rivelano difficili da affrontare o di sottovalutare i trend.
Senza ricorrere agli esempi di rilevanza internazionale che hanno alimentato numerosi articoli e sono diventati oggetto di business case nelle management school, ci limiteremo ai confini nazionali.
Un esempio di madornale sottovalutazione dei trend è senz’altro costituito da Fiat o, meglio dall’allora Fca. Sappiamo di infrangere l’agiografia ufficiale, ma non si può non ricordare che nel 2017 Sergio Marchionne, a dimostrazione che è stato un grandissimo manager ma non un leader con visione, non considerava l’auto elettrica una soluzione per il futuro. Senza nessuna polemica occorre ricordare che i competitor avevano già iniziato da anni a studiare e a investire e adesso Stellantis si trova a rincorrere e a cercare di ridurre il gap. Come possiamo poi dimenticare il caso Telecom-Tim, che si è cullata nell’illusione di poter far fronte con l’avvento delle liberalizzazioni ai nuovi “barbari” che si stavano avventando sul mercato italiano e non solo.
Ma possiamo fare anche casi di aziende più piccole, osannate per anni nei rapporti del Censis come modelli virtuosi di distretti, alludiamo alle aziende di Prato falcidiate da una concorrenza improvvisa e spietata che ha lasciato solo la possibilità di rievocazioni di uno struggente pessimismo come quelle di Edoardo Nesi in “Storia della mia gente”. Anche se altre aziende, sempre del distretto di Prato, hanno dimostrato invece di saper reagire innovando, come nel caso della Manteco, diventata azienda leader nella rigenerazione dei tessuti.
L’esperienza e il monitoraggio continuo ci hanno portato a identificare alcune best practice, che abbiamo riscontrato quali caratteristiche costanti nelle aziende agili: leader ispirational alla guida dell’azienda (capaci di visione e lungimiranza), chiarezza dei ruoli (che genera assunzione di responsabilità) orientamento generalizzato all’innovazione e capacità di captare nuove idee, (che danno vita spesso a laboratori di apprendimento), processi ancorati a solide competenze, nonché disciplina e organizzazione (che garantiscono risultati), attenzione alla qualità delle performance, clima interno improntato a una sana competizione (che stimola la creatività), solidi valori (che influiscono sull’engagement), condivisione della conoscenza.
Lungi dal voler tratteggiare una sorta di impresa ideale, abbiamo solo precisato quelli che a nostro avviso sono veri e propri elementi sistemici, per non dire identitari, che abbiamo riscontrato e riscontriamo nelle imprese che hanno la capacità di muoversi rapidamente, di definire, anticipare, penetrare nuovi mercati e cogliere nuove opportunità. Imprese che hanno intrapreso un percorso di cambiamento che le ha portate a passare:
- da avere esperienza di un settore a diventare leader del settore stesso attraverso l’innovazione continua;
- da presidiare una market share a cogliere altre opportunità del mercato anticipando e creando in certi casi i trend;
- da un’identità statica alla costruzione di una corporate image in funzione delle richieste dei futuri consumatori;
- da una definizione meccanica degli obiettivi a una costruzione degli stessi in funzione di come potrebbero rispondere i potenziali clienti.
Non sono atteggiamenti improvvisati, ma sono il frutto della maturazione di un mindset, della presa di coscienza che facilita il cambio dei paradigmi. Sono processi di cambiamento che vanno governati e presidiati di continuo per ridurre ed eliminare l’inerzia, la resistenza al cambiamento, il radicamento nella comfort zone. Situazioni che richiedono una leadership decisa e, come abbiamo sottolineato, ispirational capace di indicare la direzione e coagulare consenso, nella convinzione che la leadership non è un titolo o una posizione ma un servizio.
Articoli precedenti:
Execution, come migliorare tempi e qualità
Leadership, le 5 competenze indispensabili
Business model, come capire se funziona